Si torna in Argentina!

É il grande giorno, anche se normalmente si dice così dei bei momenti, non delle separazioni dolorose. 

Rifacciamo l’ennesimo punto dei documenti. 

Stranamente non si trova un foglio importante che fino a ieri sera c’era.
Dopo la solita decina di minuti di panico, un grande classico tra me e i vari fogli e foglietti, si trova anche questo. 

É giunta l’ora. 

Mi preparo per l’ultima corsa con la Pollita. 

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Nicola ha trovato un casco, andiamo insieme, poi il ritorno lo faremo in autobus. 

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Superiamo il ponte sul Biobío, il fiume di Concepción, qualche altro minuto e ci siamo. 

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Li troviamo già lì, in fila. La burocrazia cilena é commovente, soprattutto per noi italiani abituati a costi e tempi senza senso.
Con meno di 100 euro e in poco più di un’ora, abbiamo fatto tutto. 
La Pollita ufficialmente non é più mia.

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Il padre, che ha la mia età, mi passa il malloppo dei pesos. Gli raccomando di curare la moto e volerle bene come gliene ho voluto io, mi sto quasi commuovendo. 
Mi guarda un po’ stupito, sorride e mi saluta. 

Ci allontaniamo di corsa per evitare qualsiasi eventuale protesta per la ruggine che adesso, alla luce del sole, si vede perfettamente. 

Facciamo un giro in centro per cambiare i soldi.

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Entriamo nella cattedrale dove vedo una vetrata con un santo armato di un lungo coltello. 

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Mi viene voglia di tornare a Salta per raccontarlo al tipo del museo privato, che me l’aveva venduta come una rarità, mentre ecco che ne ho già visto un altro diverso dai due esposti nel museo. 

Nella piazza principale sta suonando un gruppo tradizionale,si vedono chiaramente i tratti indigeni dei mapuche, gli unici indio che sono riusciti a resistere alla conquista spagnola. 

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Tanto per cambiare, gli euro sono molto rari: i dollari sono molto più graditi. Girando tre uffici di cambi, ne racimolo 550. Il resto lo cambio in dollari, prima o poi mi serviranno oppure li cambierò in euro più avanti. 
Alla fine ho l’equivalente di circa 800 euro. 

Non male, visto che ormai avevo messo una pietra sopra alla moto, dandola per dispersa a Recife senza possibilità di venderla. 

Alla fine tutto si é incastrato come un meccanismo perfetto.

A provare a farlo in maniera organizzata, secondo me, non sarebbe mai riuscito. 
Ora che é praticamente finito, posso dire che tutto il giro é andato alla perfezione: in due anni la moto é riuscita a tornare, io sono arrivato con un giorno di anticipo per pulirla e sistemarla, avere il tempo di mettere l’annuncio e farla vedere, poi venderla di mattina ed il pomeriggio ho l’aereo per Buenos Aires. 

Tutto va come deve andare. 

Saluto tutta la famiglia di Nicola tra grandi abbracci e commozione, spero riusciremo a rivederci presto!

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In aeroporto mi fanno un po’ di storie per le borse laterali della moto.

Sono legate insieme, ma si vede che sono due e, con la borsa a cilindro sono in eccesso di bagagli, perché posso portarne solo due. 
Alla fine chiude un occhio, però per sicurezza mette comunque un’etichetta per ciascuna delle due borse laterali, per evitare problemi se per caso se ne perde solo una. 

Salgo a bordo, vedo che il capitano é una donna. Mi ricorda la pilota dell’elicottero sulle cateratte di Iguazú. 

Nell’aereo c’è il panico.
Hanno fatto salire persone con trolley molti grandi, anche più di uno a testa. 
Non si sa dove mettere i bagagli, il corridoio é ingombro con una decina di bagagli a mano, sembra di stare in un pullman affollato.
L’equipaggio va avanti e indietro, ognuno con una o due valigie in mano, cercando un posto dove metterle. 
La gente protesta. 
Perdiamo almeno un’ora così, che poi non recuperiamo.  

Arrivo a Buenos Aires che é molto tardi. Trovo Amelia e José ad aspettarmi, arriviamo a casa che é mezzanotte! 

Mentre torniamo a casa in auto, non si capacitano che mi fermo solo un giorno. 

Ritorno, promesso!!

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