Piove. Il cielo é coperto, grigio uniforme.
Tempo perfetto da ultimo giorno.
Faccio allora quello che non avevo voglia di fare e cioè tirare fuori dalla borsa i vestiti più pesanti in vista del viaggio di stanotte in aereo e dell’arrivo domani nel freddo di Bruxelles.
Siccome ho appuntamento con Jean Louis alle 14:30 da Fuark, il meccanico che ha affittato la moto, parto con tutta calma alle 10.
Sono a soli 150 km da Vientiane, ma per fortuna ho un paio di luoghi interessanti da visitare: non sarà solo un mesto trasferimento.
Continua a piovere, per cui impermeabilizzo la sella con una busta di plastica. Sarà per la pioggia, ma mi sembra ci sia ancora meno traffico del solito.
Le colline sono parzialmente nascoste da basse nuvole, morbide come ovatta.
In alcuni tratti fiancheggio il Mekong, a volte supero dei suoi affluenti, gonfi di acqua limacciosa, rossa. Deve piovere molto all’interno.
Per fortuna alla fine, nonostante fosse ancora la stagione delle piogge, ne ho presa davvero poca, tre volte in tutto.
La strada corre assieme ai pensieri, quando il mio sguardo é catturato da un ciclopico Buddha che mi scruta da lontano.
Hanno costruito una statua enorme in cima a un collina, non molto lontano dalla strada.
Sarà per proteggere i viandanti? Per intimorirli? Spiarli?
A fine mattinata arrivo al santuario della Sacra Impronta. Sono felice che sia completamente deserto, stranamente anche senza monaci, così posso girare e fotografare liberamente.
L’impronta somiglia ad una grande tinozza dorata a forma di piede. La forma é regolare, stilizzata, simmetrica. É protetta da delle inferriate decorate con motivi buddisti.
Fuori il silenzio é assoluto, tranne qualche uccello che lascia cadere il suo richiamo dall’alto.
Sto tornando alla moto, quando sbuca un monaco anziano nel cortile.
Inizia a parlarmi fittamente in lao, poi, quando vede il mio sorriso e l’espressione a dire, “spiacente, ma non capisco nulla di quello che mi stai dicendo”, ripiega sul francese, riuscendo a farsi capire un poco di più. Solo poco, perché é un francese allungato con un’abbondante dose di lao.
Non si capacita che non sia sposato. Quando gli ripeto che sì, sono celibe, a questa parola scoppia in una fragorosa risata e inizia a ripeterla come per convincersene, continuando a ridere.
“Célibataire… hi hi hi !! … célibataire… hi hi hi!!”
Il tutto mentre continua a spazzare un angolo di cortile, spostando la terra da una parte all’altra con una vecchia scopa piegata dall’uso.
Mi rimetto in moto fin quando capisco, dal numero di ragazzi per strada e dai crampi che arrivano dal mio stomaco, che é ora di pranzo e la scuola, anche per oggi, é finita.
Mi fermo in un mercato lungo la strada.
É pieno di frutta esotica e altre stranezze, tra cui delle tinozze piene di pesci gatto, lasciati uno sull’altro senza acqua e grandi carpe, messe in tinozze con dell’aria mandata da un piccolo motore.
Compro degli spiedini, ma, nonostante il profumino invitante che la brace manda intorno, me ne pento perché la carne é molto grassa e callosa.
Prima di partire nuovamente, mi rifaccio la bocca con una noce di cocco.
Mi aspetta l’ultima cosa da vedere, il cosiddetto Buddha Park. Tre settimane fa, quando ero arrivato, avevo dimenticato di andarci; ne approfitto adesso, che ho ancora un po’ di tempo.
Lascio la statale 13, quella che attraversa il paese da nord a sud e inizio una strada secondaria che in pochi metri perde la corazza grigia di bitume e si copre del mantello rosso di terra.
Man mano che procedo, la pista peggiora sensibilmente, tra buche sempre più grandi, pietre sconnesse e salti. Mi aspettano 35 km così.
Mi viene da sorridere pensando che proprio l’ultimo giorno vado a infilarmi su una delle piste peggiori che ho fatto qui in Laos e per non pochi km. Il tutto a poche ore dall’aereo! “Molto Nelik”, come direbbe qualcuno.
Mi torna in mente quando andai in Tunisia con un mio caro amico qualche anno fa. Lì fu ancora peggio perché la nave che ci avrebbe riportato in Italia sarebbe partita nel giro di 4/5 ore e ci eravamo infilati in una situazione molto complicata su una pista non segnata.
I chilometri passano molto lentamente, come spesso accade sulle piste. Il paesaggio compensa ampiamente la fatica: é magnifico, tra scampoli di foresta, risaie a perdita d’occhio e a poca distanza, scorci sul mitico Mekong.
Attraverso diversi paesini. Rifletto che fino a pochi anni l’intero Laos era così, tra tempi biblici di spostamento, polvere e isolamento in caso di piogge. Le case e le capanne sono coperte della terra rossa sollevata dai veicoli che passano.
Sarà anche più romantico e selvaggio avere le piste invece delle strade asfaltate, ma per chi ci vive immagino che sia una dannazione.
Alla fine, dopo molti salti e gimkane tra le buche, arrivo al Buddha Park, coperto di polvere ma felice per l’ultimo, splendido angolo di Laos che ho visto.
Il parco é simpatico, pieno di statue a tematica buddista, in mille posizioni e forme.
Mi arrampico all’interno di una grande scultura sferica, arrivando in cima per abbracciare con lo sguardo l’intero parco.
Assieme a me ci sono due ragazzi, uno di loro inizia a parlarmi.
Ha appena terminato gli studi di medicina, iniziamo a parlare in inglese, ma presto cambiamo con il francese, con cui si trova molto più a suo agio. É la prima persona che incontro in Laos che le conosce entrambe!
Pensa che in Italia sia facile trovare lavoro, ma lo dissuado subito. In alcune parti d’Europa forse ancora sì, dipende. Ma in Italia proprio no e soprattutto spesso e volentieri si viene sfruttati con orari assurdi, paghe in nero e zero diritti.
Quello che critichiamo a paesi come la Cina, ad esempio, viene fatto regolarmente e sistematicamente in Italia da decenni. Il tutto condito da evasione massiccia e corruzione cronica.La ricetta perfetta per la rovina.
Riparto perché sono in ritardo con Jean Louis, che provo a chiamare senza successo.
L’ingresso a Vientiane é trafficato, non tanto come in altre città, ma molte strade sono bloccate. Una buona metà di veicoli sono SUV.
Mi torna in mente quello che mi aveva raccontato Jean Louis all’inizio della vacanza, che quando era arrivato qui 25 anni fa, si potevano contare 4 o 5 auto passare nell’intera giornata.
Arrivo da Fuark, riconsegno la moto e sistemo i bagagli, riuscendo a far stare tutto nelle borse laterali, che spedirò al check in.
Di Jean Louis, nessuna traccia. All’ultimo tentativo che decido di fare, prima di iniziare a organizzarmi da solo, finalmente risponde al telefono. Aveva capito che sarei arrivato domani e si era organizzato in altro modo.
Alla fine però riesce a liberarsi e viene con lo scooter, il mezzo nazionale con il quale l’intero paese si muove e trasporta le cose più incredibili.
E infatti anche adesso carichiamo le valigie laterali sui fianchi dello scooter e mettiamo la borsa da serbatoio nel piccolo canestro sul manubrio.
Andiamo a bere la mia ultima birra sul Mekong, fin dopo il tramonto. Il viaggio é iniziato qui e finisce qui.
Per certi versi mi ricorda il viaggio in Sud America, che era iniziato su un oceano, il Pacifico ed era finito su quello opposto, l’Atlantico.
Mi racconta subito che ieri é morto il re della Thailandia.
“É tutto fermo, il paese é nel caos!”, mi dice cercando di spaventarmi, per scherzare.
“Ma dai, davvero?!” chiedo incredulo.
“Sì, ma non preoccuparti, i voli sono garantiti. Però é vero che adesso si scatenerà una lotta di potere, perché l’erede legittimo, il figlio del re, é un criminale mafioso e la popolazione non lo vuole. Vorrebbe la figlia, ma la costituzione vieta la possibilità di una regina al posto di un re.”
Parliamo delle recenti rivolte tra gialli e rossi, dove ci furono diversi morti.
Mi racconta ancora qualche aneddoto di vita di Vientiane e del Laos, sulla mafia del legname e delle altre ricchezze del paese.
Trascorriamo un paio d’ore molto piacevoli, poi arriva il momento di salutarci. Mi porta a un tuk-tuk contrattando il prezzo per portarmi in aeroporto.
Mi ritrovo a chiudere il viaggio nel retro di un tuk-tuk verso l’aeroporto, guardandomi intorno e rivedendo come in un film le tante immagini di splendidi paesaggi, di sorrisi e contatti con le persone, le sensazioni vissute di pace e tranquillità.
Mi torna in mente la frase di Tiziano Terzani: il Laos non é un luogo, ma uno stato d’animo.
Spero che continui ad esserlo ancora a lungo, senza omologarsi all’interpretazione occidentale di offerta e accoglienza turistica e senza distruggere le proprie risorse e tradizioni per la devastante dannazione del turismo di massa.
Chissà, forse la sua fortuna sta proprio nell’assenza del mare, letale richiamo di orde di persone affamate solo di sdraio al sole, acque limpide e cocktail, senza sapere nemmeno dove si trovano. Potrebbero stare ovunque, esattamente lo stesso concetto del fast food, per cui un McDonald’s é identico sia che si trovi a Istanbul, Mosca o Rio.
Chokdee, Laos!
Grazie di aver condiviso anche questo bellissimo viaggio.
Alla prossima…
grazie a te Fabio … ma non dimentichiamoci della tua splendida idea 😀