Verso la Chapada Diamantina

Mi sveglio dopo poche ore di sonno con il magone.
Ho ancora in ballo una questione di lavoro che é tornata prepotentemente ad occupare la mia mente.

É anche quello che, ne sono convinto, mi ha fatto uscire l’herpes zoster, il famigerato Fuoco di Sant’Antonio.
Anche se qualche giorno fa mi hanno detto che si può “mandare” e, sinceramente, penso che ultimamente più di uno possa avermelo augurato.

Decido quindi di sistemare la questione, non ancora in via definitiva, ma di darle comunque una direzione “forte”, di quelle in cui non resta che aspettare un sì o un no.

Quando vado a pagare le due notti, trovo il proprietario della posada.
É un uomo che avrà la mia età, vestito sportivo.
Si vede che muore dalla voglia di chiedermi della moto, del viaggio. 
Il portiere, quando ero arrivato ieri sera, mi aveva detto che anche lui é motociclista.
Ha l’800 GS della BMW, praticamente un’astronave qui, dove sono onnipresenti moto molto più piccole.

Rompiamo subito il ghiaccio ed inizia a darmi una valanga di dritte su dove andare nei prossimi giorni.

Quando vado a pagare, mi prende un colpo: la taschina del portafoglio dove tengo la carta di credito é desolatamente vuota.
Mantengo la calma e dico al tipo che ho lasciato la carta in camera, che vado a prenderla.

Mentre torno in camera maledico la mia leggerezza, prendo l’altra carta e pago. Tanto ormai se qualcuno l’ha presa, non fa tanta differenza cinque minuti in più o in meno.

Prima di chiamare in Italia per bloccare la carta, faccio un ultimo tentativo e la cerco nella giacca da moto. Affondo la mano nella tasca interna e la trovo quasi subito.
Sarà scivolata fuori chissà come, per fortuna un problema in meno!

Per quanto l’entrata in città é stata pericolosa e impegnativa per via della guida sbarazzina dei salvadoregni, l’uscita é veloce e lineare.

Mi butto sull’ennesima “BR”, le strade nazionali che attraversano più stati.
É infestata di lavori, supero file epocali di mezzi pesanti e auto ferme sotto il sole a picco.

Ripercorro il tratto fatto di notte l’altro giorno, é una bella parte boscosa e verde di palme e alberi.

In maniera abbastanza rapida il paesaggio si apre in colline che ondeggiano dolci fino all’orizzonte.

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I km passano e, rapidamente come prima, la vegetazione quasi scompare, tramutandosi in una regione semidesertica. Spuntano ovunque le braccia dei cactus e le sagome di altri alberi che vedrei bene nella savana africana.

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Il caldo aumenta a dismisura, la giacca e i pantaloni da moto mi danno fastidio.

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Il viaggio é animato da pochi elementi, tutto é ipnotico e lineare e il caldo stimola il sonno.
Mi perdo a osservare le volute di grandi rapaci nel cielo. Lente, eleganti, dominatrici. Assertive.

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Come nei deserti, di tanto in tanto una piccola oasi spicca verde e rigogliosa sul resto del paesaggio che varia solo sui toni di marrone.

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Finalmente all’orizzonte si vede qualche rilievo che spezza la monotonia delle linee rette.

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L’aspetto che più intristisce é l’assoluta consapevolezza che questo deserto é stato creato dall’uomo.
La terra ormai vuota e morta, é divisa da interminabili recinti che si spezzano di tanto in tanto annunciando una diversa fazenda.
Dietro I reticolati, la desolazione di sterpaglie e cactus.

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É descritto perfettamente nel film “Il sale della terra”, non a caso ambientato proprio qui in Brasile.
Quando si tagliano alberi secolari in queste zone, con questo tipo di terreno e di clima, il risultato é uno solo: il deserto.
La parte consolante é che, come mostra il film, é un processo reversibile, ma costa tempo e dedizione. E tanti soldi… sicuramente più di quelli guadagnati dalla vendita del legname e dallo sfruttamento scriteriato della terra.

Così come improvvisamente era iniziata la parte arida, così altrettanto rapidamente termina e le colline tornano ad essere coperte di alberi.

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Mentre sto viaggiando, pensando alla Vita, al Mondo e alla Moto, la visierina scura del casco si rompe definitivamente e rimane abbassata. Praticamente é come avere gli occhiali da sole perennemente indossati.
Dovrò arrangiare una soluzione col nastro adesivo. 
Mi sento sempre più professionale, con l’attrezzatura all’ultimo grido come I veri motociclisti europei!

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Il sole scende e anche la temperatura si fa più sopportabile. 

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Finalmente raggiungo Lençois, sembrava non arrivasse mai.
L’ultima parte é un’unica discesa tra alte pareti di verde; insieme scende anche la temperatura, fa quasi freddo!

Per la cena voglio regalarmi un pasto ben fatto. Infatti il bilancio dei pasti finora é negativo: per le colazioni ci siamo quasi, a parte quelle saltate a Recife; I pranzi li ho saltati praticamente tutti e le cene, una l’ho rimessa, un’altra l’ho arrangiata con un hamburger e una l’ho saltata; forse una o due sono state regolari.

E quindi, decido che mi merito un bel ristorante chiamato Cucina Aperta.

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E infatti il cuoco lavora a lato della sala, in bella mostra.

Dopo cena faccio due passi nel centro tranquillissimo di Lençois. Mi ricorda I bei paesini delle Alpi piemontesi.

Entro in una grande struttura a lato della piazza centrale. Ci sono alcune bancarelle che vendono artigianato.
Mi colpisce quella di un ragazzo, sono dei gioielli in legno.

“Sono in legno di cocco”, mi spiega.

“Come cocco, mica é spesso il cocco!”

“Quello che normalmente mangiamo no, ma questo é particolare, é un altro tipo di noce. É piccola e durissima, si trova solo in alcune zone del Brasile. Qui, il punto più vicino dove si trova é lungo la costa a sud di Salvador”.

Praticamente a 600 km da qui, non molto comodo.

“É incredibilmente dura e difficile da tagliare”, prosegue, “ti faccio vedere come la lavoro”.

Prende un gioiello che sta creando e inizia a lavorarlo con un seghetto a cui smonta e rimonta la lama sottilissima a seconda di quello che deve fare.

Mi chiede se sono spagnolo, scopro così che é argentino.
Mi sfogo iniziando a parlare in spagnolo, finalmente qualcuno con cui parlare capendosi!

Si chiama Nelson, ha 23 anni.

“Come mai sei qui?”

“Bé, voglio vedere il mondo…”, mi spiega.

“Da quanto tempo sei qui?”

“Cinque anni”

“A Lençois??”

“Sì, ho un figlio…”

Mi viene in mente la canzone di De André, il Testamento di Tito, quando dice “poi la voglia svanisce ed il figlio rimane”.

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Prima di andare a dormire, organizzo l’escursione per domani, ci sono delle agenzie che portano le persone a vedere I luoghi più vicini, visitabili in giornata.

Domani non vedo l’ora di immergermi nella Natura!

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2 pensieri su “Verso la Chapada Diamantina

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