Pessima nottata, di appena 4 ore di sonno… spero di recuperare con la prossima, anche se sono giorni che ripeto la stessa promessa.
Vado a recuperare i panni lasciati ieri, per chiudere le valigie e partire, seppure a malincuore.
Davanti alla casa a fianco della guesthouse, una delle pochissime su questa parte di lungofiume a non essere stata convertita in hotel, ristorante o centro massaggi, stanno abbrustolendo un paio di spuntini per la colazione.
Un rospo e un altro essere, all’apparenza un crostaceo, ma sono scettico vista la distanza che ci separa dal mare.
Parto sotto un bel sole caldo e gli uccellini che cinguettano placidi. La moto parte al primo colpo, ha voglia di viaggiare. Anch’io. Penso che dovrei trovarle un nome, ma per il momento non me ne viene nessuno.
Decido di passare da Ban Phanom, un paesino vicino Luang Prabang, che la guida dice essere famosa per i suoi atelier di tessitura della seta e del cotone.
Al primo passaggio lo perdo, perché ho pensato che non potesse essere quell’agglomerato polveroso di povere case.
Poi per esclusione, torno indietro ed ho la conferma che era proprio lui.
Cerco gli atelier, ma alla fine trovo un solo cartello che indica un centro di produzione della seta.
Lo seguo, attraversando stretti viottoli sterrati piuttosto malmessi, fino ad arrivare, solo per mia testardaggine, davanti al cancello di una vecchia casa affacciata sul fiume.
Una anziana sente il rumore del motore e apre il cancello della casa, facendomi cenno di entrare.
Avendo letto su tutte le guide che gli anziani dovrebbero ancora parlare un po’ di francese, provo a giocare questa carta :
“Parlez-vous français ? “, le chiedo speranzoso.
“Oui, en peu”
Ah, finalmente posso scambiare due chiacchiere vere.
Mi racconta che lei é l’ultima in paese a tessere la seta e che poi vende i suoi lavori in città.
Mi mostra la lavorazione a un vecchio telaio di legno. La osservo passare la soletta col filo da una parte all’altra, cambiare i rocchetti per cambiare colore e continuare a tessere.
Tessere così, come d’altronde hanno fatto per secoli (di recente ho sentito la storia della tessitura della seta e dei macchinari per farlo ai setifici reali di San Leucio, splendidi), é incredibilmente lento.
Stento a credere che ancora lo faccia così.
Ad ogni modo, le chiedo se ha dei lavori da farmi vedere.
Apre allora una stanza e mi mostra una serie di tessuti per fare delle gonne e delle stole dalle fantasie cupe, scure, pesanti. E anche la seta é dura, quasi cartonata.
Glielo dico che é dura.
“Tieni, senti questa “, e mi passa una stola morbidissima.
“Questa é seta thailandese”, mi dice con una smorfia di disgusto.
“E quindi?”, le chiedo per capire cosa intenda.
“Plastica!”, sentenzia togliendomela dalle mani.
Sarà, ma almeno era morbida. Solo l’idea di mettere al collo quella cosa dura, mi fa irritare la pelle.
In più costa tanto e non prova nemmeno a scendere di prezzo.
La saluto senza troppi rimpianti.
Riprendo la strada verso nord, la famosa “dorsale” costellata di crateri e interrotta da frane, quando all’improvviso ho un’illuminazione !
Ho dimenticato in albergo l’unica copia del passaporto e, soprattutto, del visto! Il passaporto vero, infatti, l’ha tenuto il tizio della moto come garanzia e io ho solo una fotocopia da mostrare negli alberghi e all’eventuale polizia che dovesse fermarmi.
Maledico la mia distrazione e memoria, ma anche quella dei tizi della guesthouse e torno indietro.
Passo davanti alla deviazione per andare alla tomba di Henri Mouhot, lo scopritore di Angkor Waterfalls. Mi fermo e focalizzo meglio quello che avevo visto solo di sfuggita.
La strada é platealmente sbarrata con una serie di mezzi tronchi e dei pali messi in orizzontale, a chiudere qualsiasi passaggio, se non un’aperta violazione fatta scavalcando.
In più, per essere ancora più espliciti, una cartello che, se da un lato mostra una incomprensibile scritta in Laos, dall’altro mostra un comprensibilissimo disegno di una pistola con tanto di traiettoria del proiettile dalla pistola alla testa dell’insistente e invadente visitatore.
Mentre scruto divertito il cartello, arriva un tizio che entra proprio lì. Porta un coltello lungo quanto l’avambraccio.
Con un cenno gli indico il cartello che indica la tomba e subito dopo l’altro cartello, che promette un’altra tomba.
Sorride, mi fa cenno di entrare, che non c’è problema.
Sono ancora insicuro, ma lui, per farmi vedere che non c’è problema, apre lo sbarramento spostando un paletto, facendomi segno di entrare.
Appena entra anche lui in questa zona off-limits, sbuca un tizio dalla faccia tesa, nervosa.
Il tipo che mi ha fatto entrare gli parla, credo gli stia spiegando che é stato lui a farmi entrare e che non c’è problema.
Lo saluto in lao, dicendogli “sabaidee”, ma non risponde, non mi guarda nemmeno e mostra sempre questa espressione truce.
Scendo poco convinto, ma ormai ci sono. La strada di cemento scende ripida verso il fiume, altissimo per via delle continue e abbondanti piogge.
Trovo un cartello che indica la tomba, ma poi non trovo altro.
Non capisco se la freccia é davvero una freccia oppure l’indicazione della tomba.
In ogni caso, per via delle piogge é franato tutto ed é impossibile cercare oltre, é tutto allagato.
Torno su anche perché non so bene che accoglienza potrebbe farmi il tizio silenzioso.
Mi torna in mente la roncola che portava in mano il tipo che mi ha fatto entrare e, proprio per non essere a mani nude nel caso nasca qualche malinteso, prendo anch’io il coltello che porto sempre con me, tenendol in già mano, dentro la tasca della giacca.
Passo davanti al tipo nervoso, lo saluto, quello muove appena la testa, ma senza guardarmi né girarsi. L’altro tipo é al telefono e non mi sente.
Bene, arrivederci. Salgo in moto e torno in città per riprendere le fotocopie. Già le avevo dimenticate nei giorni scorsi, finalmente ho il lampo di genio: faccio delle fotocopie delle fotocopie!
E già che ci sono, faccio il pieno di benzina.
Morale della favola, anche oggi riesco a partire alle 13, preparando quindi il mio ennesimo arrivo in notturna.
Vado verso le grotte di Pak Ou. La strada per fortuna é meno tortuosa, ma sempre molto rovinata. Attraverso piccoli paesi circondati da risaie.
La parte finale che porta alle grotte é uno sterrato a volte molto malmesso e pieno di fango per via delle piogge.
Arrivo al paesino di fronte alle grotte, da qui ci si imbarca su una lancia stretta e lunga per attraversare il Mekong. Prima però, visito il tempio, un bell’esempio di struttura “minore”, non come quelli sfarzosi che ho visto nei giorni scorsi.
Un anziano monaco sta lavorando la terra piegato su sé stesso, usando una zappetta microscopica.
Arrivo sulla riva del fiume e prendo una lancia. Con me sale un tizio con una grande borsa. Attraversiamo il fiume velocemente, il paesaggio é splendido.
La grotta principale si apre sul fianco della ripida scogliera che termina a picco sul fiume.
É piena di statue di tutte le dimensioni appoggiate in ogni punto a disposizione.
Faccio anch’io un’offerta, spinto da una donna con un banchetto all’ingresso della grotta. La dedico alla mia famiglia ed alle persone a me più vicine.
Il risultato sarebbe interessante, con centinaia di statue e statuette che si perdono nell’oscurità. “Sarebbe” perché nel frattempo arriva della musica a tutto volume da una delle barche attraccate sotto la grotta a distruggere qualsiasi atmosfera mistica o comunque anche solo di meditazione si possa creare.
Mi arrampico anche alla grotta superiore dove trovo una signora e la sua piccola che vendono delle offerte per Buddha e noleggiano delle piccole torce per vedere nell’oscurità. Questa grotta, infatti, non riceve luce quasi per nulla dall’esterno.
Faccio il percorso inverso di discesa al fiume, attraversamento del fiume, ritorno verso la statale.
Inizia a essere tardi ovviamente.
Fatte appena poche curve mi trovo davanti… Un elefante! Ecco, qui su questa stradina sterrata non é tanto piccolo, anzi!
Dopo qualche centinaio di metri ne incontro altri 4, sono quelli del centro di protezione che ho visto lungo la pista.
Decido di passarci un attimo, trovo un altro elefante con una ragazza seduta sul collo e un ragazzo seduto su una panca fermata sulla sommità della schiena.
“Posso provare?”
“No!”, mi risponde il ragazzo senza darmi altre spiegazioni.
Penso sia fine giornata per loro, perché subito dopo fa scendere la ragazza, smonta tutto dall’elefante e lo porta a lavarsi sotto a un tubo.
Torno sulla statale e inizio ad andare con ritmo sostenuto. Mancano ancora 120 km, la strada non é buona e gli ultimi 30 km saranno su una strada, come recita la cartina stradale, in “poor conditions”, in cattive condizioni. Visto com’è la statale principale, non c’è da aspettarsi nulla di buono.
Attraverso d’un fiato piane e vallate, villaggi e paesini.
Quando mi fermo per bere una cosa fresca e per sgranchirmi perché mi sto anche addormentando, con i ragazzi e ragazze sedute fuori dalla povera casa é tutto uno di scambio di sguardi, sorrisi e risate imbarazzate.
Passo a fianco a un grande cantiere di quella che diventerà una diga. Proprietario del cantiere, PowerChina.
Sono giorni che incontro un numero enorme di cinesi. Anche adesso, molte delle auto che vedo hanno targa cinese. Ed effettivamente si riconoscono da come guidano da assassini.
Arrivo all’incrocio con la strada in “poor conditions” che é il crepuscolo. Per fortuna mi restano da fare solo 30 km.
Alterna tratti asfaltati con grandi buche a tratti sterrati con enormi buche. La guida in realtà é un unico slalom alla ricerca del punto meno affossato.
Raggiungo anche un camion carico di tronchi con le ruote affondate nel fango, che si sta seccando. Non ho idea di come faranno a tirarlo fuori. Molte persone ci lavorano, nel frattempo hanno creato una deviazione per evitare il pachiderma che probabilmente si trasformerà in fossile.
Per fortuna ogni tanto ci sono tratti lisci, sia sterrati che asfaltati. Alla fine riesco a tenere una media sui 30 km orari, tutto sommato non male.
Arrivo a Nong Khiaw che é un notte, sotto un cielo stellato poeticamente decorato da una sottilissima falce di luna.
Trovo da dormire in un bungalow a livello dell’acqua, un bungalow costruito con la tecnica tradizionale del bambù intrecciato.
Sono immerso nella natura, tra griglia, uccelli notturni e altre creature. Come il ragno enorme entrato dal buco della doccia che trovo in bagno.
Passo la serata cercando di capire come dividere i prossimi giorni. Non é facile, considerate le condizioni delle strade e i paesini minuscoli che troverò, che forse non avranno alcuna guesthouse dove potermi fermare per la notte.
Certo quel tizio con roncola che ti aspettava forse non stava esattamente sistemando le piante.
Secondo me lo usava come tagliaunghie