Dal cuore della terra al Mekong

Provo a spiegare alla signora in cucina la colazione che vorrei, indicando le scritte in lao sul menu: pancake, caffè e, queste le indico dal vivo, due banane che adocchio in cucina:
“Due di quelle là”, le dico facendo due con la mano e toccando le banane con l’altra.
Ma ormai è passata anche la parola “breakfast” e questo vuol dire solo una cosa.‎

Dopo una decina di minuti, si presenta con un piatto pieno di tre uova fritte, bacon abbrustolito, due wurstel sbruciacchiati, due rondelle di carota, uno spicchio di pomodoro e tre fette di pane in cassetta.
“Breakfast!”, esclama con un sorriso trionfante porgendomelo.

Ok, non ci siamo capiti. Ma il massimo deve ancora arrivare: dopo altri cinque minuti, si presenta con un pancake grande quanto il piatto e le banane.

Di solito non mangio così tanto nell’intera giornata!

Mi avvio in moto con Steve, il ragazzo malese che ho conosciuto ieri sera. 

“Sei sicuro che vuoi andare in moto?”, mi chiede. “Ci sono passato davanti ieri sera per vedere dov’era l’ingresso delle grotte e non mi ha fatto una buona impressione… tanta gente fuori a dar nulla, con facce un po’ ambigue…”

“Ma sì, vieni, non preoccuparti”, gli dico invitandolo a salire.

Ci sono 10/15 minuti di cammino da fare e, pensando alle tre ore di visita alle grotte e al poco tempo a disposizione, decido di andare in moto per risparmiare almeno la mezz’ora tra andare e venire. 

Arrivato là, lego la moto col cavo che mi ha dato il francese e vado al punto dove ci si imbarca per le grotte. Facciamo il biglietto e prendiamo la torcia per illuminare il tragitto. 

Attraversiamo con un primo breve tratto in barca il fiume che esce con grande forza dalla montagna.


Arrivati dall’altro lato del fiume, iniziamo ad addentrarci nel ventre della montagna.

L’entrata é enorme e la grotta si perde nell’oscurità, come i nostri due accompagnatori che ci precedono con passo svelto, andando a prendere una delle tante barche attraccate poco più in basso.

Saliamo sulla barca ed iniziamo a navigare il fiume sotterraneo. Il soffitto della grotta é molto alto, le torce faticano ad illuminarlo.

Siamo in un altro mondo, ogni riferimento é perduto. L’oscurità é totale e dopo qualche minuto si perde coscienza di com’era il mondo prima.

So solo che adesso é fatto di piccole spiagge che si intravedono con i fasci delle torce e che si perdono nell’oscurità e che potrebbe essere per sempre così.

Il fiume fa molte curve, si allarga in grandi sale e si restringe in stretti passaggi dove arriva a creare delle rapide.

Un autentico labirinto. La guida dice che il tratto sotterraneo del fiume che stiamo percorrendo é lungo sette km. 
L’acqua cade dall’alto, a volte a gocce sparse, a volte con minuscole cascate.

Il mondo sotterraneo prende improvvisamente vita in un’isola di rade luci blu, gialle, arancioni.

I nostri due traghettatori ci fanno scendere. Uno scende con noi, l’altro resta sulla barca e si dilegua nell’oscurità da dove eravamo arrivati. 

L’isola colorata non é altro che una parte sopraelevata dove la natura ha avuto il tempo e la possibilità di creare stalagmiti e stalattiti, a volte unite in colonne, a volte ondulate in sottili cortine di calcare.


“The power of nature!”, il potere della natura, esclama Steve, il ragazzo malese.

Rifletto che anche l’uomo é potente, ma nella distruzione ! La parte più difficile, la costruzione,  é appannaggio della natura che crea gioielli come questo.

Ci aggiriamo a bocca aperta in questo mondo incredibile, quando in un lampo si materializza un’immagine nella mia mente: ho lasciato le chiavi nel quadro della moto.

Quando l’ho parcheggiata all’ingresso delle grotte, ho messo il cavo e ho salutato le sei/sette persone che bighellonavano lì davanti,  ma non ho mai sfilato le chiavi dal quadro.

Ormai é troppo tardi per pensarci, né voglio angosciarmi, tanto non c’è nulla che possa venire adesso. L’unico motivo di tranquillità é che il cavo che mi ha dato il francese é a combinazione numerica, quindi le chiavi non servono, devono tagliarlo per prendere la moto. 

L’altro motivo di tranquillità é la natura dei laotiani, soprattutto in un luogo fuori dal mondo come questo.

La parte “monumentale” della grotta finisce. Scendiamo il fianco scosceso e fangoso della riva e saliamo su un’altra barca, ormai solo in tre.

Riprendiamo la navigazione immergendoci nuovamente nell’oscurità. Le torce illuminano decine di pipistrelli che volano bassi sull’acqua e fanno evoluzioni sopra le nostre teste, nel cielo della grotta, qui molto alta.

Nonostante il rumore del motore, si sente anche la moltitudine delle loro scure strida di richiamo.

Proprio mentre mi domando quanto sia difficile navigare in questa grotta, a parte sapersi orientare nell’oscurità, sbattiamo su una roccia. La barca, di quelle tipiche strette e lunghe, si sbilancia da un lato. Proseguiamo la navigazione. 

Passano altri lunghi minuti, quando una lontana luce davanti a noi fa capire che stiamo per riemergere nel mondo reale.

Poco prima, però ci fa scendere su una piccola secca. Lui resta solo sulla barca a risalire delle rapide.

La barca ha il fondo piatto, quindi scivola sopra le rocce, mentre il motore spinge grazie a un gambo lunghissimo, quasi orizzontale sull’acqua, con una piccola elica alla fine.

Con imbarcazioni e motori così, riescono a navigare anche in pochi centimetri d’acqua ! 

Risaliamo sulla barca e andiamo verso l’uscita.

Restiamo abbagliati dalla luce del giorno mentre proseguiamo la navigazione fino a un piccolo villaggio dove scendiamo tutti.

La guida si dirige sicuro verso una capanna che funge da bar, vendendo cose da bere e da mangiare. 

Da lontano ne vedo un’altra, messa molto peggio, quindi decido di andare lì, per aiutarli comprando qualcosa.

C’è una signora che spazza mentre le girano intorno due bambine seminude. Compro una bottiglia d’acqua mentre ci scambiamo sorrisi e scherzi con le piccole. 

Dopo una ventina di minuti, torniamo sulla barca e da lì, di nuovo nelle viscere della montagna. 

Prima di entrare di nuovo nell’oscurità, mentre ammiriamo le montagne, Steve esclama: 

“We are so lucky!”, siamo così fortunati. 

Sì, penso di sì… anche se ogni volta, mi domando chi sia più felice, tra persone che conducono una vita semplice e a contatto con la Natura e persone perennemente insoddisfatte e alla ricerca di nuovi stimoli.

Stavolta per fare le rapide restiamo a bordo. La guida semplicemente va a prua per controllare la direzione con un piccolo remo.

Con un brivido scendiamo le piccole rapide e proseguiamo la navigazione a ritroso.

Ormai il pensiero é fisso alla moto, per cui vivo intensamente i lunghi minuti di navigazione sotterranea, poi la riemersione nel mondo esterno, l’ultimo traghettamento dalla parte opposta del fiume e il breve tratto di bosco che mi separa dalla moto che… é là ! 

Tiro un gran sospiro di sollievo e tocco le chiavi che sono rimaste per tutto il tempo lì. 

I tizi sono ancora lì a chiacchierare tra loro, a malapena ci guardano. 

Torniamo alla guesthouse e saluto Steve che parte verso sud.

Io resto un po’ a studiare la cartina e i pochi giorni rimasti e prendo la decisione filosofica di rinunciare al sud. Mi spiace sempre tagliare dei pezzi di viaggio, ma ormai ho imparato a rinunciare per guadagnare in vivibilità del viaggio. 

Se avessi voluto andare a sud a vedere il tempio khmer che avrei tanto voluto vedere, avrei dovuto fare 550 km a scendere e 700 a salire, per tornare a Vientiane. In quattro giorni, avrebbe significato stare per la gran parte del tempo in moto.
Così invece vedrò altre cose più vicine.

Le montagne che mi separano dal Mekong sono spettacolari, con cime frastagliate che si inseguono all’infinito e grandi alberi da foresta tropicale.





Arrivo a Thakhek al tramonto, purtroppo nascosto dalla spessa coltre di foschia di un caldo e umido pomeriggio.

Sulla parte di lungofiume più centrale stanno facendo un mercato, come facevano anche a Vientiane. 


Finalmente ricompaiono le noci di cocco da bere.

Mangio in un ristorante sulla riva del Mekong, osservando da lontano la Thailandia.

In questo tratto il Mekong é già larghissimo, non oso immaginare come diventi ancora più a sud!

Finisco la serata in un locale, sempre sul lungofiume, dove suonano musica dal vivo. Provo a restare un po’ da solo, per ascoltare la musica e leggere la guida, ma é impossibile. 

Si siedono direttamente al tavolo e iniziano a parlare e farmi domande : di dove sono, quanti anni ho, se sono sposato, se ho figli, se mi piace il Laos, dove sono stato eccetera. 

Qui hanno tutti sui 28/29 anni. In genere già sposati, con un figlio.
Rinuncio a leggere la guida, lo farò domani, per decidere dove andare e cosa vedere, per ora proseguo a chiacchierare ed ascoltare la musica!

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7 pensieri su “Dal cuore della terra al Mekong

  1. Eh mannaggia però Nelicco! Ora anche le chiavi rimaste sul blocchetto della moto mentre si va nelle grotte per apprezzare. Uffa…!
    Basta sbadataggini, su dai, su, eh. Dai, abbi pazienza, dai…
    Però hai fotografato anche un moscone posato sul tubo del freno idraulico che mi fa pensare che,

    [non continua dopo la virgola]

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