Accoglienza turca, tra monasteri e vallate

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Faccio colazione all’ultimo piano dell’albergo, in mezzo a turchi baffuti che non capisco come mai stiano in albergo, visto che chiaramente non sono turisti.

La strada per Erzurum é scorrevole, a parte alcuni lavori in corso. Tutto intorno, colline spoglie o con pochi alberi e, di tanto in tanto, oasi di pioppi verde brillante.

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La strada si arrampica fino a 2400 metri… Sento il fiato più corto e pensare che esattamente un anno fa camminavo a mio agio a 3, 4 e anche 5mila metri!
La moto a iniezione é una grande invenzione, sale senza avere il minimo problema, invece coi carburatori perde potenza molto velocemente.

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Continuo verso Erzurum fino alla deviazione verso nord, direzione Artvin.
La strada é veloce, ma per fortuna continua a regalare degli splendidi scorci.

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Sono deciso a seguire le indicazioni della cartina, che segna due luoghi interessanti sa visitare. Mi fermo ad una locanda poche centinaia di metri dopo il bivio che dovrei prendere per raggiungere il primo di questi due siti.
Vorrei soltanto chiedere un’infornazione, ma mi accolgono così calorosamente che non posso rifiutare un po’ di carne arrostita!

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Mi fanno accomodare in una specie di palafitta vista collina e nel giro di un quarto d’ora mi portano tutto.

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Sfido di nuovo la sorte: pomodori freschi, ma soprattutto acqua non imbottigliata, però freschissima!

Mi faccio tentare, anche se solo per pochi minuti, dai magnifici cuscini che tappezzano i sedili… si sta benissimo!

Quelli che dovevano essere 5 minuti, sono diventati un’ora e mezzo. Saluto e vado verso il primo dei due siti archeologici segnati sulla cartina.

Arrivo a quella che sembra una chiesa armena, ma pare sia invece un monastero con un’origine diversa.

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Nel cortile davanti la chiesa c’è una famiglia molto numerosa che ride scherza e scatta fotografie.
Saluto e inizio anch’io a fare un po di foto.

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Con la mia solita faccia tosta, chiedo al gruppo se posso fotografarli anch’io, ma rifiutano. Ci sono le donne…

“Solo uomini sì però, puoi fotografarci!

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Mi avvicina una ragazza del gruppo e inizia a parlarmi in inglese.
É molto giovane, ha 16 anni.

“Io ne ho 41”, confesso.

“Ah mio padre ne ha 41!”

In Turchia non perdono tempo, si sapeva…

Il tempo di qualche chiacchiera con la ragazza che si chiama Elif e subito la madre le fa tradurre l’invito:
“Ci farebbe enormemente piacere se venissi a casa nostra per bere un té, mangiare qualcosa…”

É già tardi, ma occasioni così non si possono rifiutare, per cui accetto con gioia.
Andiamo a casa del nonno, a due passi. Ha 70 anni e nel giro di pochi minuti si unisce anche lui alla brigata.
Ci mettiamo seduti sui tappeti mentre fanno preparare da mangiare. Non posso rifiutare, penso solo alla bizzaria del fatto che normalmente non pranzo o mangio solo frutta e oggi invece sto per pranzare due volte di fila!!

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Imbandiscono la tavola, ovviamente gli uomini iniziano per primi e mangiano separati dalle donne. Che sono nella stessa stanza, però separate da noi.

Elif mi racconta che lei vive con la famiglia a Izmir, ma che gli altri parenti vivono a Erzurum. Sono venuti in auto da Izmir per passare le ferie tutti insieme.

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Parliamo di tutto, un po con l’inglese di Elif, un po con le mie parole di turco. Passo un’ora piacevolissima, sono tutti allegri e simpatici, ma alle 4 purtroppo inizio a salutare.
Offro le liquirizie che porto sempre con me. Accettano tutti, anche più di una. Elif, dopo averla presa mi chiede se contiene del maiale.

“No non preoccupatevi, é soli una pianta!”

Riparto a malincuore verso il secondo sito segnalato dalla cartina. Lungo la strada passo sotto un castello mimetizzato perfettamente con le rocce circostanti.

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Imbocco la stradina che porta all’altro monastero e, nel giro di un quarto d’ora arrivo sotto.
Questa, al contrario della prima, é semi distrutta e palesemente incendiata, anche se la storia riportata sul tabellone di fronte, non menziona alcun incendio.

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Una specie di Pope sta guidando un gruppo di persone.

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L’interno é del tutto distrutto, sopravvivono a stento alcuni frammenti di affreschi.

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Vado via rapidamente, ormai sono le 5 e mezzo e sono ancora a 150 km da Artvin.

La strada si arrampica su alcune alture di roccia nuda e, in un tornante, si apre un panorama mozzafiato.

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Il primo pensiero che ho avuto é stato che l’Eden, il paradiso terrestre, dovesse essere esattamente così.
Duro e primitivo, ma al contempo dolce e accogliente.
Mi perdo ad ammirarlo a lungo, poi, di nuovo, il raziocinio si risveglia e mi rimette in marcia.

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La strada si incunea in una vallata sempre più stretta e sbattuta, strapazzata da un vento molto potente.
Poi, quello che ormai non mi aspettavo più: stanno rifacendo la strada. Inizio così ad attraversare decine di km di sterrato polveroso e pieno di buche, pericoloso di pietre smosse e brecciolino ovunque; tunnel non illuminati e nemmeno asfaltati, mezzi pesanti che tagliano la strada a tutti e il solito vento che cerca di farmi cadere ad ogni curva. 

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I km passano lentissimi, ma passano e, prima di arrivare ad Artvin, mi regalano un ultimo scorcio incantevole.

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Domani, se Dio vuole vuole, arrivo a Kars!

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