Sei preoccupato?

La colazione é di quelle che mi mandano in estasi, semplicemente perfetta: frutta tropicale, dolci fatti in casa e succo fresco.

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L’albergo, come molte case e negozi, sono addobbati per Natale. Ammetto che, in riva al mare a 30 gradi, mi fanno sorridere tutti questi fiocchi e pupazzi di neve!

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Siccome ho poca strada da fare, meno di 600 km che in sella alla Pollita sono almeno 10 ore di moto, mi concedo una sosta alla praia do Gunga.
Prima di arrivare, la strada supera la grande laguna di Roteiro.

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Nella mia testa questa spiaggia, piuttosto famosa e rinomata a quanto ho capito, é un luogo selvaggio, isolato, da pochi avventurosi che riescono ad arrivare fin qui.
Quando arrivo, trovo un grande ristorante che ha allestito una torre di osservazione per ammirare il panorama e, mentre parcheggio, vengo superato da un pullman carico di bagnanti.
Ok, credo che avrò parecchia compagnia.

La vista che si gode dall’alto é notevole, un mare verde ondeggiante di palme che fronteggiano l’oceano.

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Pago l’ingresso e scendo la ripida strada che porta alla spiaggia. Le ultime centinaia di metri sono di sabbia, poi mi trovo in un’immensa spianata di sabbia dove, alle 9 del mattino, sono già parcheggiati 5 pullman e numerose auto.

Mi svesto subito, sotto ho il costume da bagno.
Quindi, in piedi a fianco alla moto, mi tolgo nell’ordine: casco, guanti, giacca e pantaloni tecnici, paraschiena, stivali, calzini e, per finire, gli immancabili e indispensabili pantaloncini da ciclista con fondoschiena imbottito.
Con questa ventina di kg di roba in mano, più la borsa da serbatoio, mi avvio comodamente verso la spiaggia.

Prima di entrare in spiaggia passo di fronte ad un casottino con dentro un ragazzo. Affitta i malefici dune buggy.

Gli chiedo la cortesia di tenermi le cose. Dopo che riesce ad interpretare il mio spagnolo, esclama:
“No no, non voglio niente, niente soldi! Soli resto qui fino alle 4, poi me ne vado.”

“Non preoccuparti, resto una o due ore, poi devo partire, grazie!”

In uno dei miei atti di fiducia immensi e tutto sommato immotivati (una “nelikkata”, direbbe qualche mio amico) gli lascio tutto, senza iniziare ad aprire giacca, tasche e taschine. Quindi tutti I soldi, documenti miei e della moto, telefono, chiavi della moto … tutto.

Mi allontano dal gabbiotto solo con pareo, maglietta, costume e macchina fotografica.

La spiaggia sarebbe selvaggia isolata eccetera, se non fosse per gli stabilimenti che la affollano, per fortuna solo da un lato della spiaggia.
Mi incammino nella direzione opposta e in breve mi trovo a camminare da solo tra palme e oceano. Molto bello.

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Presto mi ritrovo completamente solo, tranne I malefici dune buggy che rompono il silenzio e non solo quello, sfrecciando a tutta velocità a pochi metri dall’acqua e da me.
Mi chiedo il senso, ma cerco di non dare il moralista bacchettone e proseguo.

WwwRRrROoooOOAAAaaaAmmmm!!!

Alla decima macchinetta in pochi minuti inizio ad insultarli. Poi per fortuna il flusso rallenta. Forse era un’infornata di un altro pullman.

Dopo una buona mezz’ora di camminata, inizio a tornare. Non tanto per la roba abbandonata, ormai se volevano rubarla, l’hanno bella che rubata, quanto per tutta la strada che ancora manca per arrivare a Salvador.
Certo, se ho ancora una moto!

C’è un pescatore nella parte ancora isolata della lunghissima spiaggia.
Gli chiedo se si può fare il bagno.

“Certo!”, risponde.

“Sì ok, intendevo, ci sono squali??” preciso, soli che non capisce la parola in spagnolo, italiano e inglese.

Mimo qualcosa che ti aggredisce e morde una bella coscia saporita.

Scoppia a ridere e fa segno di no, non ci sono.

“Però é meglio se fai il bagno là”, prosegue indicando gli stabilimenti, “qui la corrente é molto forte”.

Non mi va di fare il bagno in mezzo alla folla, quindi faccio pochi metri, mi tolgo la maglietta e faccio un mucchio con il pareo, proteggendo il tutto con un mattone e una noce di cocco che trovo a pochi metri.
Vorrei evitare che una simpatica macchinetta distruggesse quello che al momento é il mio unico avere.

Entro in acqua lentamente, in effetti la corrente é davvero forte. Sembra di essere costantemente nel forte riflusso di un cavallone, quelli che troviamo da noi dopo il classico temporale di fine stagione che agita il mare con onde anche di tre, quattro metri.
Visto che comunque la corrente porta verso la riva, per curiosità provo a nuotare contro corrente.
Guardando verso la riva, mi accorgo che non ce la farei. Anche a tutta forza, verrei portato via.

Finiti gli esperimenti, decido di riprovare più in là. Così non é rilassante, é una lotta!
Mi immergo ancora, mentre penso al dermatologo che prima di partire mi aveva tassativamente sconsigliato di prendere il sole sulle bolle dello zoster.
Penso anche al sole a picco che mi sta cuocendo e alle creme solari infilate nelle borse, da qualche parte.

Mi proteggo alla bene e meglio con il pareo. 

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Dopo il secondo bagno, decido che é ora di mettermi in moto. Mancano sempre le famose dieci ore.

Prima però, un’agua de coco!

Torno al gabbiotto, il ragazzo mi saluta con un grande sorriso che ricambio.
Prendo I soldi, c’è tutto.

In una capanna lì vicino, un ragazzino apre le noci di cocco a colpi di martello e un punteruolo auto costruito. É bello vedere come la gente si ingegna in mille modi diversi per aprire questi frutti meravigliosi.

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Ammiro ancora per qualche minuto l’oceano, il tempo di finire il cocco.

Torno nel gabbiotto e mi rivesto di tutto punto.
Sono entrato bagnante ed esco marziano.
Saluto il ragazzo e riparto o, sarebbe più corretto dire, parto! Visto che finora ho fatto solo pochi km e ne mancano ancora più di 500.

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Ieri é stato il primo contatto con la Pollita dopo un anno di separazione, ho preferito farlo in silenzio per ascoltare tutti I rumori e vibrazioni.
Visto che sembra essere tutto a posto, oggi ascolto un po’ di musica.

La scelta cade su Max Gazzé, che inizia guarda caso con una canzone adatta a questo viaggio, a dove l’avevo interrotto. Un chiudere un cerchio iniziato uno… o dieci anni fa.

La musica mi tiene sveglio, mi serve per le ore di guida che ancora mancano e per una medicina che sto prendendo per lo zoster che dà sonnolenza.

I km passano tra paesaggi abbastanza simili di colline e pianure coltivate a canna da zucchero, tranne pochi ciuffi tropicali che adornano sporadicamente la cima di qualche rilievo.

Attraverso piccoli villaggi e case sparse. Sono tutte dignitose e ben tenute, spesso decorate con piante e fiori.

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Ingaggio nuovamente le solite lotte con pullman e autotreni. Sono I più ostici, perché  le auto passano rapidamente, mentre questi, molto più grandi, o mi schiacciano o mi spingono.
In più di un caso, credo di essere arrivato a un passo da una delle due.

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Il tempo é più veloce dello spazio, almeno nel mio caso.
É ormai assodato che arriverò con il buio. Per cercare di ridurre il più possibile il tempo che dovrò guidare di notte, inizio a guidare senza troppi scrupoli.

Nell’ennesimo rallentamento per un furgone che procede a passo d’uomo, inizio a superare una fila di macchine bloccate dal fatto che siamo in piena curva. Ma io vedo, quindi passo.

Inizio a superare l’ostacolo principale, il motivo della lunga coda, quando mi accorgo troppo tardi del vero motivo del rallentamento…

Un bel posto di blocco della polizia!

Ci finisco dentro di slancio, ancora quasi in piega mentre finisco il sorpasso!

É davvero troppo quelli che ho fatto, sorpasso in curva con doppia striscia, proprio di fronte alla polizia.

Accenno comunque uno sguardo stupito quando mi fa cenno di accostare.

Vai, primo controllo di documenti, vediamo che mi dicono della moto.

Gira intorno, controlla la targa, la patente e tutto il resto, poi mi fa cenno di entrare in ufficio.

Butta I documenti sul tavolo e inizia la ramanzina.

“E qui devo farti la multa” e mi elenca tutti I delitti che ho appena commesso.

Inizio la solita scena del pentimento più totale, invento che il pullman ha frenato improvvisamente e che sono riuscito ad evitarlo eroicamente solo scartando all’ultimo e quindi commettendo quell’orribile gesto di infrangere la doppia striscia, che assolutamente rispetto come Sacra ed Inviolabile. 

Non sembro convincerlo, continua a ripetermi che deve farmi la multa.
Però, mentre I turchi ka scorsa estate, ad esempio, avevano iniziato a scrivere senza tanti giri di parole, questo gira e rigira il blocchetto delle multe senza decidersi.

Strano…

“No multa! Devo multarti, la doppia striscia, capisci?! É molto grave, la multa é cara…”

“Quanto cara?”

Dallo sguardo che fa, capisco che era la domanda che si aspettava da almeno 10 minuti.

“…1000 reais”, spara, più di 300 euro.

Scoppio in una risata sincera, gli garantisco che non ho quei soldi e che posso restare lì a dormire negli uffici I anche una settimana.

Provo la scena di quello senza soldi, che poi é abbastanza vicino alla realtà.

“Ma guarda, lo vedi come viaggio?? Con una moto piccola, delle sacche appese come bagaglio, dormo negli ostelli, salto I pasti…”

Mi interrompe: “Va bene dai… 500?”

Ah ma allora é trattabile… avevo ancora un minimo dubbio che stesse facendo sul serio, invece si tratta solo di avere un po’ di soldi.
E qui vieni sul mio campo allora, caro mio… Ne ho trovati tanti come te nei miei viaggi!

Inizia la trattativa e dai 1000 iniziali arrivo a 100.
Stavolta gli va bene perché sta diventando notte e mancano ancora almeno due ore di strada.
Chiudo in fretta e gli mollo 100 reais. Solo che lo faccio platealmente, tirando i fuori I soldi dal portafoglio e dandoglieli

Mi fulmina con lo sguardo e vedo che guarda fuori. Il collega ci ha visto, torna dentro.

“Capisci, devo farti la multa, doppia striscia!”, ricomincia a ripetere.

Il collega esce, gli allungo I 100 reais che appallottola e intasca.

Il collega rientra.

“É troppo grave, doppia striscia!”, il disco ricomincia.

Mi sto innervosendo, il sole ormai é calato quasi del tutto.

“Sei preoccupato?”, mi chiede ad un certo punto.
La scena é surreale, lui seduto dietro la scrivania, ancora col blocchetto delle multe aperto davanti a lui.
Il collega é di fianco alla scrivania, adesso entra ed esce in continuazione, evidentemente deve lavorare, ma non vuole perdere il momento clou di quando do I soldi al collega. Probabilmente vuole qualcosa anche lui.

“Sei preoccupato?”, chiede di nuovo.

“Sì, sono preoccupato…”

“Non mi sembri preoccupato… Sei preoccupato?”, mi chiede nuovamente, calcando le parole.

“Sì, sono sinceramente preoccupato” 

“No, non ti vedo preoccupato… non sei preoccupato abbastanza! ”

Inizio ad innervosirmi, gli rispondo rapido, teso: “Sì, sono molto preoccupato, perché sta facendo notte e io sono ancora qui a discutere con voi!”

“Ok, così va bene…” É mi allunga un riquadrino di carta piegato in mille parti. sono 50 reais.

Osservo stupito la banconota, lo guardo. Mi fa un cenno d’intesa e mi dice che posso andare.

Mi rivesto, chiedendomi ancora il senso di quest’ultimo scambio di battute, comunque soddisfatto per aver contenuto la perdita a soli 50 reais.

Approfitto dell’ultima luce, poi l’oscurità diventa totale. Anche la notte ha il suo fascino, amo viaggiare di notte, con le luci lontane che creano illusioni, con il profilo misterioso di piante e montagne, con l’ultima luce che si spegne all’orizzonte.

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Finalmente arrivo a Salvador!

Mi accorgo immediatamente che guidano molto pericolosamente. Cambi di corsia improvvisi, nessuna distanza di sicurezza, grandi velocità, sorpassi a tutta birra sulla corsia di emergenza.

Perdo un paio di bivi perché mi ritrovo incastrato tra pullman e auto a pochi centimetri che ignorano le mie frecce e segnalazioni.
Mi ritrovo quindi a fare grandi giri, ma alla fine riesco ad arrivare all’albergo.

Sono quasi le 9, sono stanchissimo e a digiuno da molte ore.

Mi riposo sul letto qualche minuto, mi butto in doccia ed esco con pochi spiccioli addosso. Mi hanno detto che la città non è sicura e il numero di poliziotti che vedo in pochi metri me lo conferma.

Nonostante la polizia, ci sono molti mendicanti che chiedono soldi e cibo.

Arrivo in una piazza monumentale, molto bella. Non vedo l’ora di girare la città domani.

I ristoranti sono chiusi, mi accontento di un paio di spiedini cotti sulla griglia di un carretto ambulante.
Mentre li addento vorace, ricordo l’ultima volta che avevo cenato così, lungo la strada. Era a Manaus, l’anno scorso, ma quello era quasi un ristorantino all’aperto, aveva anche le sedie e I tavolini.

Purtroppo non ho da bere e, come mi accade da un po’ di tempo ormai, mi si forma un blocco duro e doloroso nell’esofago.
Di solito mi fermo prima e cerco qualcosa da bere e la sensazione é sempre quella di mandare giù un tappo, che scende graffiando le pareti dello stomaco.

Stavolta per la fame non mi sono fermato in tempo e sento che il tappo é molto duro e grande. Tengo in bocca l’ultimo boccone per non sputarlo a terra e cerco immediatamente un venditore ambulante che abbia dell’acqua.

Torno nella piazza, trovo un’anziana che sonnecchia davanti a una cesta piena di noci di cocco.
Ne chiedo una. Sento il blocco farmi sempre più male, devo assolutamente mandarlo giù.
Sta ancora finendo di aprire la noce che quasi gliela strappo di mano.

Bevo una prima sorsata, ma sento che é tutto bloccato. Una sensazione strana di rigetto, come un vulcano che erutta.

Un primo fiotto di cibo schizza dalla bocca, poi un secondo e un terzo.
La vecchia mi guarda con gli occhi sgranati, é stupefatta.

Sento che é quella la strada, infatti per quanto faccia forza a mandare giù il liquido, questo torna su con la forza dei conati di vomito.

Mi ritrovo in breve a fianco del banchetto della vecchia a  rigettare come un alcolizzato.
Mi ritrovo tra I piedi un cane che pulisce tutto e aspetta il fiotto successivo.

Accade una cosa singolare, mentre continuo a bere e vomitare.
Un mendicante che poco prima mi aveva chiesto l’elemosina, mi viene incontro, mi sorride rivolgendomi uno sguardo comprensivo e dà una carezza al cane, poi si allontana. 

Finalmente riesco di nuovo a deglutire, ho liberato tutto.

Mi allontano tornando verso l’albergo e rivivo la sensazione di dieci anni fa a Marrakech, quando avevo avuto un incidente e poi ero stato male e intossicato per alcuni giorni.
I mendicanti mi ignorano completamente e anche gli altri che fino a poco fa cercavano di vendermi qualcosa.

Ricordo che all’epoca, nel souk della piazza in centro, la Djema el-Fna, chiesi a un venditore perché fino a pochi giorni prima mi tormentavano e adesso mi ignoravano tutti.
La risposta fu semplice e lapidaria :
“Perché sei povero, sei come un marocchino”.
Avevo un aspetto orribile…

Torno in albergo e, visto che sono ancora a digiuno, chiedo un pò di frutta.

Ammiro la bellezza di alcune antiche abitazioni illuminate.

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Domani mi immergo nella città e soprattutto rivedo il piano per I prossimi giorni!
Infatti un mio amico brasiliano a cui ho raccontato cosa vorrei fare, mi ha cassato quasi tutte le idee che avevo, proponendomene altre.
Vedremo!

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5 pensieri su “Sei preoccupato?

  1. ” …Il tempo é più veloce dello spazio…”
    Mhh…?
    Tempo,velocità e distanza… mhh?
    La giusta distanza forse non separa. Nè vicinanza nè lontananza quindi.
    Mhh…?

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