Il Salar di Uyuni è un tormentone che mi segue da molte settimane, da quando ho iniziato a parlare del viaggio con altre persone, a chiedere consigli, a leggere racconti.
Il Salar, devi andare! Opinione pressoché unanime.
E posso dire che, sì, è proprio così, un posto unico e irripetibile. Anche oggi, come ieri, arrivato a fine giornata ho la sensazione di aver appena vissuto un’esperienza straordinaria, memorabile.
Verso metà mattinata esco. Vado a fare il pieno, con in testa quello letto e sentito più volte nei mesi passati, e cioè che spesso nei distributori non vogliono metterti benzina, perché poi devono riempire non so quanti moduli, visto che il prezzo per i boliviani e per gli stranieri sono diversi, così come altre esperienze negative di benzina negata per le ragioni più disparate. Fortunatamente, almeno questo benzinaio di Uyuni è cordialissimo. Mi avverte immediatamente che il prezzo è diverso da quello per i boliviani.
“Sì lo so, c’è possibilità di avere lo stesso prezzo dei boliviani?”, provo a chiedere biecamente.
“No”, la risposta secca che non lascia spazio a ulteriori tentativi.
Il prezzo per stranieri è qualcosina più di un euro al litro; quello per boliviani la metà.
Compro qualcosa da mangiare ed eccomi pronto a partire verso Colchani, punto di ingresso al salar.
La pista verso Colchani è semplicemente tremenda: infestata di toulee ondulee, sabbiosa con sabbia a tratti profonda quanto lo pneumatico, piena di buche.
E’ talmente orribile che ad un certo punto, sento toccarmi la giacca da qualcosa. Per fortuna capisco immediatamente che ho perso qualcosa. Non so cosa, ma qualcosa. Guardo la moto e mi accorgo che la telecamera è saltata! Si è rotto il supporto. Mi giro indietro e la vedo in mezzo alla sabbia. Stanno arrivando tre grossi fuoristrada a tutta velocità. Faccio ampi segni con le braccia di rallentare e deviare. Il primo non capisce e liscia la telecamera per non più di 10 cm; il secondo un pochino più lontano. Solo il terzo, forse perché ha avuto modo di vedere meglio la scena, la aggira per bene.
Corro a raccoglierla, sembra integra, anche se piena di polvere e sabbia.
Arrivo a Colchani, un agglomerato di baracche con delle viuzze che sembrano essere state bombardate con particolare sadismo e tenacia. Tutto è coperto di polvere e il caos di auto, persone, camion, fuoristrada e quant’altro, è totale.
Trovo la pista che conduce al salar e, finalmente, entro nella distesa bianca.
Nello specchietto retrovisore vedo un’altra moto, incredibile!
Rallento e faccio la conoscenza di Francisco e Bruno, di 26 e 18 anni, argentini. Viaggiano su una Yamaha da fuoristrada, sono al termine di un bel giro tra Argentina, Bolivia e Cile.
Tiro un sospirone quando sento che Bruno ha 18 anni … che esperienza incredibile e bellissima che sta vivendo! Torno con la memoria ai miei primi viaggi in moto, rifarei tutto km per km.
Ci mettiamo d’accordo per entrare insieme nel salar; poi loro ad un certo punto torneranno indietro perché devono proseguire il viaggio.
E’ difficile descrivere le sensazioni che trasmette il salar, perché sono tante e diverse: intanto la sua unicità, un qualcosa di mai visto prima. Poi l’emozione della vastità che ti annienta e deride la tua minuscola insignificanza. Quando sei riuscito ad assorbire questi due impatti, ti rapisce per la bellezza geometrica delle concrezioni saline, apparentemente simili, ma sempre diverse. E il colore, così abbacinante, perfetto e assoluto. Per non parlare dell’incredulo stupore: tutta questa immensità è fatta di … sale?!
Il cuore e la mente sono ricolme di queste sensazioni e intanto vai, vai, VAI! sulla superficie piatta e invitante.
Ci fermiamo un paio di volte per scattare delle fotografie, poi ad un certo punto mi affiancano, mi fanno segno che tornano indietro. Ci salutiamo e ci auguriamo suerte!
Controllo sul GPS e vedo che l’isola dista ancora 50 km. Ne ho fatti già 25. Non so se ho voglia di fare 150 km tra andata e ritorno in mezzo all’immensità di sale, ma intanto vado.
Proseguo rapito e felice della corsa nel sale, mentre mi guardo intorno, le montagne lontanissime, i disegni del sale sulla superficie, la mia ombra, la genesi di questo posto incredibile.
Di tanto in tanto si aprono dei buchi nel sale e mi sembra che sul fondo ci sia acqua.
Dopo un tempo che sembra infinito, inizio a intuire quale dovrebbe essere la Isla Incahuasi che sto puntando da più di un’ora. Ormai ci sono, non posso tornare indietro!
Ed accade un fenomeno tipico dei deserti e cioè lo stravolgimento delle distanze. La isla sembra ad un passo, ma passano i km e il tempo e non si avvicina mai. Solo diventa appena più definita e ti rendi conto che ti stai avvicinando, ma è impossibile capire quanti km mancano.
Da quando mi sembrava di essere ad un passo, ad esempio 5 km, sono già passati quasi 30 km. Incredibile. Mi ricorda le sensazioni che vivevo in Kazakistan, viaggiando di notte, quando vedevo le luci tremule della cittadina successiva e non arrivavano mai, anche dopo un’ora erano nello stesso punto.
La corsa finisce: arrivo all’isola, punteggiata di cactus altissimi, multi-braccia e con lunghe spine per mantenere le distanze dal prossimo.
Scatto un po’ di foto a questo luogo così magico, in totale solitudine, poi torno alla moto e, per curiosità, giro l’angolo dell’isola. Vi trovo addensate decine e decine di persone, con altrettante jeep, furgoncini e auto di tutti i tour organizzati che confluiscono, nessuno escluso, qui.
Inizio il ritorno, seguendo la traccia che avevo seguito all’andata.
Ma dopo pochi km, la mente si perde, le certezze crollano di fronte all’impossibilità di capire quale traccia, tra le decine, avevo seguito all’inizio. Inizia a prendermi un minimo di ansia di perdermi, ma poi penso che al limite è sufficiente puntare ad una montagna all’orizzonte ed arrivarci. Qui non è come nel deserto, dove puoi paradossalmente finire in un vicolo cieco di dune insormontabili. Qui è tutto piatto, puoi seguire qualsiasi direzione tu decida.
E’ incredibile anche il freddo che fa. Sicuramente è perchè il bianco respinge la totalità dei raggi solari, inclusa quindi la parte riscaldante. Le mani e i piedi sono gelati, sul corpo sono al limite.
Dopo un’ora abbondante passata a seguire varie tracce ed a divertirmi in alcuni “fuori pista”, arrivo di nuovo in vista di una rotonda carica di bandiere di ogni nazionalità che avevo superato anche all’andata.
Esco così dal salar e torno sulla pista per Uyuni e gioisco nuovamente per la sua atrocità di salti e botte e sabbia traditrice.
Ad Uyuni vado nuovamente a fare benzina. Il ragazzo è stupito di vedermi rifare il pieno così presto, gli dico che sono andato al salar. Gli chiedo alcune informazioni:
“Domani vorrei andare a La Paz, qual è la strada migliore?”
“Quella per Potosì, è tutta asfaltata”
“Tutta?”
“Tutta.”
Da che ero deciso ad andare a La Paz, cambio programma e decido di fermarmi a Potosì e poi andare a La Paz da lì.
Torno in albergo e, mentre parcheggio la moto, mi saluta da un ragazzo alto, un europeo. Iniziamo a chiacchierare, si chiama David e con la moglie Marie, entrambi svizzeri, stanno facendo il giro del mondo da quasi un anno. E’ del cantone francese e parla poco l’inglese. Finiamo così a parlare in francese, con mia grande gioia perchè è una lingua che amo e che parlo troppo poco spesso.
Parlando del più e del meno, salta fuori che domani è l’anniversario della fondazione di Uyuni, ci sarà festa grande in paese!
E così cambio nuovamente idea nel giro di pochi minuti: domani mi fermo qui per la festa, poi dopodomani Potosì e il giorno dopo ancora a La Paz.
Evviva i viaggi programmati al millimetro!
Se quel deserto di sale fosse più vicino da dove sono, a Milano per esempio, ci andrei subito. E’ molto bello perchè c’è il nulla e non c’è nessuno e c’è freddo.
Mi è venuto freddo Nelinkos – Nelinkas! per quanto mi son suggestionato.
Uuu…
Che posti e che colori… la festa, i profili delle montagne, i lunghi rettilinei stradali, il lago al tramonto e … il Salar! Una bianca distesa su cui tessere pensieri per km e km.
Avevo sentito parlare dei laghi salati del Botswana (i Pan), ci stai dando preziose suggestioni di altri paesi… vedere queste foto con la moto sulla sconfinata superficie bianca toglie il fiato.
Adelante!
Grazie Claudia!! Sto cercando di vivere il viaggio più intensamente possibile, spero di riuscire a trasmettere tutte le sensazioni che vivo e anche di più 🙂
Spettacolo, come sempre!! Ricordati da lavare bene (molto bene) nelinkas.. altrimenti ti si sgretola sotto!! 😉
Con pochi millimetri d’acqua diventa lo specchio della Vita, quel posto!! 😉
Potosi mi era piaciuta molto, ancora di più Sucre.. se riesci passaci!!
La Paz è una follia di città.. meravigliosa soprattutto di notte! (solo come panorami, però..)
Un abbraccio..
Purtroppo c’è ancora tutto, sale e tonnellate di polvere, la moto é lurida perfino per me che di solito la lavo una volta ogni uno/due anni … Ma ad Uyuni quel giorno che potevo era tutto chiuso per la festa, poi sono arrivato a Challapata di notte, poi a La Paz pure tardi dove ho messo la moto in un garage che ieri era chiuso 😦 e siamo arrivati a oggi
Più tardi la porto dal meccanico, appena apre. Vediamo se mi insulta come fa ogni volta il meccanico di Roma quando gli porto la Duchessa 😉
Potosi e Sucre saranno per un’altra volta, peccato ma ho fretta di andare verso nord, i giorni passano e l’obiettivo resta il Brasile …
Ma il salar con l’acqua ci puoi lo stesso andare sopra? Si scivola? Poi non vedi più dove metti le ruote, ho visto parecchi buchi alcuni di dimensioni inquietanti, a finirci dentro con la ruota …