Nella baia della Concha

La “concha” in spagnolo è la conchiglia ed effettivamente la baia ha una forma che ricorda una tonda conchiglia, ma è anche vero che buona parte delle baie al mondo hanno questa forma.

Passo metà mattinata a cercare informazioni riguardo la frontiera brasiliana: il documento che ho spedito qualche giorno fa da Cali, pare impiegherà molti giorni per essere autenticato e timbrato; poi c’è da considerare il tempo della nuova spedizione, stavolta in Venezuela.

Le alternative a questo punto sono fondamentalmente due: vendo la moto qui in Colombia e proseguo in aereo e poi con i mezzi locali. Oppure, provo ad andare fino alla frontiera con il Brasile, sperando mi facciano entrare come è accaduto finora (sempre che il Venezuela mi faccia passare).

Con questi pensieri esco dall’albergo, faccio colazione con un ottimo (quando si è in astinenza tutto lo diventa) croissant al cioccolato ed un succo fresco, oggi di tomate de arbol, pomodoro d’albero. Non è molto dolce, è cremoso ed effettivamente ha un retrogusto che ricorda il pomodoro.

Mi metto a caccia della strada che porta alla baia della Concha. Questa baia dovrebbe ospitare una bella spiaggia e si trova già nell’area del Parco Naturale Tayrona. Tra deviazioni ed errori, finisco nella zona industriale del porto di Santa Marta, incastrato tra decine di TIR che si contendono la stretta carreggiata.

Finalmente raggiungo la strada di cemento. In molti punti è coperta di terra, portata da vecchie alluvioni e mai ripulita. La strada. faticosamente, si divincola dalla periferia di casette di mattoni e baracche e si inoltra nella montagna, non prima di ricevere un’ultima offesa con la discarica della città, posta proprio sotto la montagna che separa dal mare ed una serie di scarichi abusivi di rifiuti proprio lungo la pista che porta al mare.

Questa prosegue per alcuni km su terra e su pietra, fino ad arrivare all’ingresso della spiaggia. E’ tutto privato, quindi si paga un ingresso. Qualche altro km, ormai in piano e si sbuca proprio di fronte alla spiaggia.

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Vengo accolto da una serie di persone che mi propongono di tutto, bevande, cibo, dolci, massaggi, ombrellone, braccialetti, occhiali. Alla fine non sono nemmeno tanti, ma battendo in continuazione la spiaggia alla fine ce n’è sempre uno che passa.

Il sole dopo non molto viene nascosto dalle nubi, mi rilasso tra bagni, pennichelle e letture varie. La spiaggia è bella, ma ancora lontana dall’idea tipica che uno ha dei Caraibi, popolata di spiagge candide con palme che si protendono sull’acqua. Qui non sono così, mi dicono che nei punti più nascosti del Parco di Tayrona ci sono, ma l’idea di camminare ore per arrivarci non mi attira per nulla.

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Passeggio sulla spiaggia, osservando un paio di pellicani che fanno la ronda sull’acqua a caccia di cibo ed un cormorano che di tanto in tanto si tuffa nell’acqua. Un pescatore con lenza e canna si lamenta che da stamattina non ha preso nulla.

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Quando il cielo alle spalle della baia diventa nero ed inizio a sentire potenti tuoni che echeggiano in lontananza, decido di tornare in città.

“Questo è “sol de agua”, sole di acqua, che scalda tanto, è normale che poi viene un temporale”

“Tra quanto piove, ce la faccio a tornare in città senza bagnarmi?”, chiedo preoccupato per le nuvole nere che ormai sono sopra di noi.

“Sì, non preoccuparti, piove tardi, alle 10 di stanotte o più tardi, ma adesso no.”

Mentre risalgo sulla pista sterrata per tornare in città, supero una vecchia moto scassatissima, la classica 125 cinese che sbuffa e arranca sotto il peso di 3 persone. Faccio un cenno di invito e accettano subito. Sale un ragazzo col quale scambio due chiacchiere fino alla prima periferia, dove scende.

Arrivato in città, mi scolo una bella agua de coco, ossia un cocco fresco tagliato in cima da cui si beve l’acqua con una cannuccia e passeggio sul bel lungomare.

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La città, ma soprattutto a quest’ora il lungomare, è popolato di una variegata umanità che cerca di mettere insieme il pranzo con la cena con i commerci più differenti, dal cibo (empanadas, pannocchie, spiedini, gelati, dolci di riso al latte, granite, limonate e succhi vari, frutta, caffè, birra e bevande varie, dolci artigianali, fritture di tutti i tipi e molto altro ancora), abbigliamento (occhiali, magliette, camicette, ciabatte, cappelli e così via), souvenir di vario tipo (conchiglie e stelle marine, braccialetti, orecchini, cornici portafoto e ancora un’incredibile varietà di oggetti fabbricati artigianalmente con i ricordi del mare), bar ambulanti con sigarette gomme da masticare, patatine, e sicuramente ne dimentico altri.

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Sono tutti coinvolti, a tutte le età, dai bambini ai più anziani. L’unica tipologia forse assente è quella delle ragazze giovani, probabilmente perchè impegnate con i figli, che qui iniziano ad avere molto giovani, tra i 15 e i 20 anni. Le bambine e le signore fino all’età più avanzata si incontrano facilmente. I maschi invece ci sono dall’età più giovane a quella più anziana.

Trascorrono l’intera giornata e parte della notte con i loro commerci, alcuni statici nelle loro bancarelle fisse; la maggior parte con mezzi mobili, il più delle volte una declinazione della bicicletta, con sellino e ruota posteriore “tradizionale” e parte anteriore modificata a seconda delle esigenze del commercio. Oppure i classici carretti, con le ruote e i manici per trasportarli.
I commerci mobili si spostano in continuazione, si fermano per poco in un punto, perchè hanno venduto qualcosa o sperano di farlo, oppure per stanchezza. Mi ricordano i pescatori, che vanno a intuito, a sensazione, a volte a caso. E come pescatori, lanciano la loro esca di annunci, inviti, descrizioni, ammiccamenti, sorrisi, silenzi.
Perennemente in attesa, fiduciosi e gentili, sempre e comunque e questo mi stupisce e mi fa pensare a quanto siamo diversi e quanto dovremmo imparare da questo approccio alla vita.

Il pomeriggio finisce mentre sgranocchio una pannocchia alla brace davanti ad un tramonto impreziosito dai colori incredibili delle nuvole che coprono l’orizzonte.

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A cena mi tratto bene, con un piatto di polpo e aragosta, con riso e fagioli.

Mi addormento molto presto, col pensiero di cosa fare nei prossimi giorni, se andare subito in Venezuela e tentare l’ingresso oppure vendere qui. Di sicuro ogni giorno passato a non viaggiare, allontana sempre più l’idea di arrivare in Brasile con la moto.

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4 pensieri su “Nella baia della Concha

  1. ” … vendo la moto qui in Colombia e proseguo in aereo…”
    Sì ciao.. !
    Tu passerai tutte le frontiere con la moto.
    Arriverai in Brasile e concluderai il viaggio esattamente come l’avevi pensato.
    Punto.

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