Attraverso la foresta amazzonica

Odio non capire e non riuscire a farmi capire, non sono abituato. Con il portoghese purtroppo è il nulla più totale. Ci sono diverse parole in comune con lo spagnolo, è vero, ma la pronuncia è talmente differente da lasciarmi del tutto spiazzato, quanto meno dopo solo due giorni di immersione. A leggere qualcosa capisco, ma a parlare, nulla.

Per cui la ricerca di una banca dove prelevare dei reais, è più complicata del previsto. Tutte le indicazioni le capisco male o non le capisco affatto e mi perdo più volte. Alla fine trovo il Banco do Brasil. Tre bancomat, attendo il mio turno in uno. Non funziona, carta non leggibile. Il secondo, lo stesso. Il terzo, ormai me lo aspetto, idem.

Inizio a pensare ai contanti che ho con una vena di preoccupazione, poi provo a chiedere per un’altra banca. Soliti giri a vuoto, poi finalmente la trovo e, fortunatamente, questa va bene! Devo sempre ricordarmi che alcuni circuiti bancari non accettano la Visa!

La strada per Manaus passa di fronte all’albergo. Per fortuna Hans sta partendo adesso e riesco a dirgli che la mezz’ora di vantaggio che mi aveva dato, l’ho spesa tutta per prelevare i soldi. Da ieri sta pagando lui, quindi è contento della notizia.

Il paesaggio non cambia molto rispetto a ieri, solo la carreggiata a volte si restringe e appaiono un po’ di buche (nulla in confronto alle strade venezuelane), a volte torna larga e liscia come un biliardo.

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Le fazende si susseguono le une alle altre, come puntini in un mare di verde di foresta disboscata, verde punteggiato dal bianco delle mucche al pascolo e dal marrone dei cavalli anche loro al pascolo.

Dopo molti km inizia l’area indigena. E’ un’area protetta e ci sono molti cartelli che invitano a non fermarsi, a non fare foto né filmare.
Come immaginavo e speravo, posso finalmente vedere com’era in origine la foresta che sto attraversando: fitta e impenetrabile di alberi di diverse altezze e piante.

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Osservo con attenzione e davvero non si vede l’ombra di un passaggio, mi chiedo come debba essere vivere in un ambiente del genere, se paradossalmente non prenda un senso di claustrofobia. Ma sicuramente un simile intrico funge anche da protezione.

Incrocio tre indio che camminano a lato della strada. I tratti sono inconfondibilmente indio, mentre l’abbigliamento è occidentale: maglietta a colori sgargianti e pantaloncini.
Mi tornano in mente gli indio che ho visto nel parco Tayrona, sulla costa caraibica della Colombia. Ho visto prima un bambino e una bambina che camminavano e, dopo molti km, un’altra bambina seduta su una staccionata a sorvegliare un asino che brucava.
Tutti e tre avevano la tipica tunica bianca senza null’altro addosso, nemmeno le scarpe. Scapigliati e con la tunica bianca o almeno inizialmente bianca, perché non la cambiano mai, finchè non è lacera e inutilizzabile e allora ne indossano una nuova.

Continuano le aree allagate, punteggiate lugubremente di tronchi solitari, le sole spoglie di alberi morti per la troppa acqua che fa marcire le radici e soffocare le piante.

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Purtroppo l’area protetta finisce e immediatamente attaccati ai suoi confini, ci sono due ristoranti. Ci fermiamo in uno. E’ l’ora di pranzo, dividiamo un ananas dolcissimo.

La strada è facile, mi verrebbe da dire sin troppo, ma è sufficiente l’idea di stare attraversando un universo sterminato di alberi per dare il senso della corsa. Confrontando l’area indigena con il resto della strada, per centinaia e centinaia di km, è evidente come gli ambientalisti abbiano ragione, quando dicono che una strada ha un impatto molto maggiore della semplice carreggiata che viene costruita. L’impatto distruttivo è molto, incredibilmente più ampio.

Manaus è sovrastata da una massa di nubi che sta scaricando un turbine d’acqua. Faccio appena in tempo a ripararmi sotto una tettoia, mentre la moto si inzuppa completamente. Per un attimo tento di portarla al riparo, ma vista la quantità incredibile di acqua che precipita, più che cadere, mi accontento di staccare la borsa da serbatoio.

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Arriviamo all’ostello, stavolta ci va male e troviamo posto solo in una camerata. Siamo gli unici due, però è molto spartana e con il bagno in comune. Il boss dell’albergo parla correntemente l’inglese, decentemente l’italiano e perfettamente il tedesco essendo stato sposato con una donna svizzera del cantone tedesco. Mi dà una pessima notizia:

“Le barche per Belem partono due volte a settimana e oggi ne è partita una. La prossima sarà mercoledì prossimo!”

Faccio i conti, questo significa che vedrò Caterina tra 10 giorni. Mi sale un nervoso incredibile, ma non posso prendermela con nessuno, è solo la rabbia per qualcosa che si è mancato di poco. Ho percorso 3500 km in sei giorni ininterrotti da Santa Marta in Colombia fin qui. Sei lunghissimi giorni vanificati da un’attesa imprevista di quattro giorni!

Non mi arrendo e voglio andare al porto, mentre Hans mi aspetta in ostello.
Attraverso una specie di mercato di fronte alla banchina dell’immenso fiume. Nel nervoso e nella fretta di andare al porto, mi ritrovo in mezzo a delle bancarelle ambulanti, a terra la sporcizia tipica dopo una giornata di mercato, alcuni tavoli da biliardo sotto una tettoia, affollati di persone – tutti uomini ovviamente – che giocano. Non è il posto ideale da attraversare da solo, col buio, ma in fondo con me ho solo il telefono, il danno sarebbe relativo.
Lungo la strada, passo davanti all’ennesima bancarella con la musica ad altissimo volume. Rido perchè stanno sparando nella notte “Marina, Marina, Marina, ti voglio al più presto sposar!”

All’interno del porto sembra esserci una specie di festa: molti tavoli pieni di persone che mangiano e musica ad altissimo volume, con un gruppo che suona.

Naturalmente non trovo nessuno a cui chiedere informazioni, solo tre che lavorano al molo che mi confermano i due giorni: mercoledì e venerdì.

Domani mattina voglio comunque tornare al molo, magari riesco a trovare un’altra barca, speriamo!

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4 pensieri su “Attraverso la foresta amazzonica

  1. Non vedo l’ora di sapere di Manaus, ho appena finito un libro che ne parla a lungo, sopratutto dei suoi leggendari scarafaggi!

  2. Non ti disperare!!! Sei stanco ed esausto, sei riuscito facilmente ad entrare in Brasile. Ancora un pò di pazienza e sarai con Caterina, potrai rilassarti e godere a pieno il viaggio!

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