Mi confermo il Signore della Pioggia, visto che mi sveglio sotto un cielo grigio e una pioggia battente.
“Fino a ieri c’era un sole incredibile e molto caldo!”, mi conferma mia zia.
“Immagino, zia, immagino…”
Però considerato che é tardi e che l’unico monumento vicino é la Recoleta, il cimitero monumentale di Buenos Aires, non potrebbe esserci atmosfera migliore: cupa, malinconica.
Mi avvio tra le strade ed i viali eleganti, fino ad arrivare davanti all’ingresso, preceduto da un piccolo parco con alcune statue a tema.
Si entra da un grande portale ad archi e ci si immerge subito in viali via via più sommessi e minuti, tra tumuli e cappelle la cui grandiosità rispecchia la ricchezza del defunto. Come in vita, così nella morte.
Molti sono veri e propri monumenti progettati e creati per impressionare e decantarne la grandezza e la gloria nei secoli.
É una città nella città, passeggio tra le tombe facendomi ammaliare dall’atmosfera.
Trovo anche la sepoltura di Eva Peron, ancora molto amata in Argentina.
Torno verso casa passando da un’altra strada, per fortuna smette di piovere.
Dopo pranzo passeggio per chilometri nel centro, partendo dal Congreso Nacional che occupa un lato di una piazza immensa.
Dall’altro lato sento cori e tamburi: una manifestazione. Vado verso il corteo e rimango colpito dalle bandiere che sventolano senza sosta.
É la prima volta che in una manifestazione vedo così tante bandiere rosso-nere degli anarchici, soprattutto a fianco di quelle comuniste con falce e martello.
Storicamente gli anarchici hanno più di un motivo per evitare i comunisti.
Percorro l’intera avenida de Mayo fino alla celeberrima Plaza de Mayo, dove si affacciano la Casa Rosada ed altri monumenti.
Al centro é parcheggiato un camion con alcuni ragazzi che, amplificati ad un volume da spaccare le orecchie, ripetono a turno una manciata di slogan per ricordare le vittime della repressione di una manifestazione di qualche anno fa, insieme ad altre rivendicazioni sociali riguardo il lavoro ed altri diritti.
Arrivo fin davanti alla Casa Rosada. Ricordo che Nicola mi aveva detto di averla visitata, quindi mi affaccio per capire se é aperta.
Vedo le persone che entrano alla spicciolata, mi accodo.
Dopo un passaggio nel metal detector si entra in un androne dove una ragazza segna i nomi delle persone per formare i gruppi di visita.
Ne é appena partito uno, sorride e mi fa passare per farmi aggregare senza aspettare un’ora per il prossimo.
La guida ci mostra i quadri che ritraggono le personalità del passato remoto e recente della nazione: paladini dell’indipendenza, poi popolazioni indios che abitavano queste terre prima che arrivasse l’uomo bianco, fino ad arrivare, lungo un excursus temporale, alle personalità dei giorni nostri politiche e non, come Astor Piazzolla o il calciatore Messi.
Passiamo attraverso sale riccamente arredate che si aprono sulla città con finestre e balconi.
Esco che la giornata é quasi terminata. Mi siedo su una panchina in Plaza de Mayo per decidere dove proseguire.
Dopo qualche minuto mi passa davanti una delle persone del gruppo con cui ho visitato la Casa Rosada.
Sí ferma per ringraziarmi di stare visitando l’Argentina e la capitale.
Riprendo a camminare, mi lascio prendere dalla malinconia: questo é l’ultimo giorno di viaggio e di una splendida avventura.
Cerco di godermi il più possibile quello che vedo, me ne riempio gli occhi e il cuore, per portare dentro me il più a lungo possibile queste sensazioni e questi colori anche quando, tra poche settimane, la mia vita cambierà radicalmente.
Passo davanti ad una moto identica spiccicata alla Pollita, mi fermo qualche minuto a guardarla, perso nei ricordi e nei pensieri.
In centro é pieno di cambi abusivi: ogni pochi passi incrocio una persona che ripete in continuazione, a bassa voce, “cambio, cambio, casa de cambio”!
Ne approfitto per prendere dei pesos e comprare qualche altro regalo.
Passeggio nel crepuscolo tra piazze eleganti e viali. É una città ricca di alberi e spazi verdi.
Sotto il teatro dell’Opera é stato allestito un presepe quasi a grandezza naturale, mentre alle sue spalle, in totale contrasto di atmosfera, una piccola orchestra suona musiche tra tango e jazz.
Torno a casa che ormai é buio. Chiacchiero un po’ con i miei zii, che tornano a lamentarsi, giustamente, del fatto che mi sono fermato per un solo giorno:
“La prossima volta, devi fermarti almeno 15, 20 giorni!”, esclamano.
Penso che sia geneticamente impossibile per me fermarmi così a lungo in un posto quando sono in viaggio: é troppa la curiosità di vedere altri posti!
Preparo i bagagli e vado a dormire senza cena, sono ancora pieno dal pranzo.
Cerco di prepararmi psicologicamente alla fine del viaggio, non sarà facile.