L’idea di oggi è portare la Pollita dal dottore per far rivedere la carburazione, risalente ormai al Mago di (La) Paz, quindi a 1000 km fa e soprattutto a 4000 metri fa, sopra al livello del mare.
Recupero la moto al garage e chiedo indicazioni per un meccanico:
“Vai sulla Avenida Perù alla nona eschina, là c’è uno bravo”
Qui in Perù, ma credo in generale in Sud America, usano sempre il concetto di “esquina”, ossia di isolato. E’ un ottimo modo di orientarsi, perchè ogni eschina regola i numeri civici: la prima eschina ha i numeri dal 100 al 199 (quelli che servono, ovviamente), la seconda dal 200 al 299 e così via. Più facile di così!
Mi concedo il piacere di guidare senza casco, anche se qui significa solo riempirsi di polvere e smog, arrivo alla nona eschina, chiedo del meccanico che mi hanno indicato, ma mi dirottano alla undicesima. Proseguo e devo infilarmi in un budello, un cancello con un sentiero che va verso l’interno. Alcune botteghe nere di grasso e olio si affacciano da un lato. Un cane arrotolato per terra mi osserva, ma per fortuna mi ignora.
Il meccanico che mi è stato indicato non ha l’aiutante e lui non sa fare il lavoro.
“Prova da lui”, mi dice indicandomi uno degli antri oscuri a cui sono appena passato davanti, “lui lo sa fare!”
Vado e spiego nuovamente la situazione, la carburazione da rifare, il getto da cambiare e tutto il resto.
“Il mio aiutante non c’è e io non so fare il lavoro”, mi ripete anche lui, “vai da Mastro Lenin!”
“Da chi?!”
“Mastro Lenin, è qui sulla calle principale, due botteghe più avanti”
“L-E-N-I-N??”
“Sì Mastro Lenin”, mi ripete per la terza volta iniziando a guardarmi come se fossi tonto.
Bè, questo non posso perdermelo.
Esco e due botteghe dopo c’è un’officina abbastanza grande, confrontata ai buchi dove sono appena stato, ma sempre un antro lurido e nero, con una ventina di moto parcheggiate fuori, in vari stati di decomposizione. Alcune sono veramente ai minimi termini, il telaio e poco più attaccato addosso, altre invece sono abbastanza integre.
Trovo Mastro Lenin, un ometto panciuto un po’ stempiato, che non assomiglia assolutamente a Lenin, forse è solo per fede politica. Gli spiego cosa mi serve, mi risponde con aria di chi ha già capito tutto e mi dice di tornare alle 14.
Sono le 10:15 e senza pensarci su, salto sul primo taxi e chiedo di andare alle Huacas. Lungo la strada, mi viene in mente che in albergo mi hanno detto che il check-out è alle 12, poi devo pagare un’altra notte. Il piano dovrebbe essere: lascio la stanza, alle 14 prendo la moto, parto, visito Chan Chan lungo la strada e in serata arrivo a Chiclayo.
Ho dei dubbi, ma ci provo, nel frattempo vado alle Huacas.
Per arrivare il taxi fa, non so se per farmi vedere altre piramidi oppure se è proprio quella la strada, diversi sentieri sterrati e stradine secondarie, fino a passare sotto una piramide in adobe in discrete condizioni. E’ una delle piramidi di questa vallata una volta controllata dai Moche, prima che gli Inca li conquistassero.
Arriviamo al sito archeologico, prima visito il museo e poi le piramidi. Il museo ha relativamente pochi pezzi, per essere costruito a fianco degli scavi, con tutte quelle piramidi, ma in eccellenti condizioni e meravigliosamente belli. Di nuovo rappresentazioni pittoriche e scultoree di vita quotidiana, dei personaggi importanti, degli animali sacri e non, dei lavori e così via. Non avevano la scrittura, ma come si dice, vale più un’immagine di mille parole e questo è il caso perchè viene raccontato il quotidiano, lo straordinario e il soprannaturale.
Uscito dal museo, percorro il lungo tratto che c’è tra il museo e le piramidi vere e proprie. Quando arrivo all’ingresso, una delle guide del sito mi ferma: si entra solo con guida. Le spiego che sono di fretta, che sono le 11:15 e che alle 12 devo lasciare la stanza nell’ostello vicino la plaza de Armas.
“Quanto dura la visita?”
“Un’ora”
“Non si può fare più in fretta?”
“Può darsi, devi parlarne con la guida, ma le piramidi sono molto belle e la facciata che vedrai alla fine è incredibile, devi vederla con calma!”
Decido che l’ostello può attendere: magari mi regala un’ora in più oppure pago e amen.
Si visita solo la piramide della Luna, quella del Sole è ancora oggetto di scavi. Effettivamente è molto interessante, ci spiega che la piramide è costituita da cinque piani, costruiti in epoche diverse. Quando un’epoca terminava, “tappavano” il piano precedente, cioè riempivano di adobe tutte le aperture, porte e finestre per irrobustirla e la inglobavano nel nuovo piano, ricoprendolo di adobe. Quindi, i 5 piani sono concentrici. Il quinto in realtà non c’è, perchè i tombaroli l’hanno distrutto per derubare i manufatti all’interno e i fattori climatici hanno demolito il resto.
Comunque, a giudicare dal museo, si sono salvati tanti elementi di pregio, così come nelle piramidi ci sono molti affreschi ancora in discrete condizioni. Conoscere le usanze e soprattutto le credenze e i rituali, mi mette a disagio, perchè da un lato non posso che ammirare e invidiare la loro soggezione alla natura ed agli elementi che ne regolano la vita, dall’altro però sapere che per ingraziarsi gli Dei, facevano (anche) sacrifici umani … visitiamo infatti prima gli spogliatoi dove venivano preparate le vittime e poi l’altare dove si effettuava l’uccisione, si pensa per decapitazione, dove veniva raccolto il sangue da offrire in sacrificio, il tutto osservato e probabilmente incoraggiato, dal popolo che osservava dal basso della piramide.
La visita finisce, torno nel parcheggio e l’unico mezzo che trovo su cui salire è un tre ruote, chiuso con una carrozzeria auto costruita, ma completo di tutti i confort: autoradio, sedili imbottiti, portiere.
E’ incredibile, lo so, come so che è una completa coincidenza, fatto sta che non ho mai, mai visto un tre ruote inseguito dai cani in queste settimane di viaggio. Bene, appena salgo sul trabiccolo, facciamo sì e no 300 metri e due cani ci inseguono abbaiando a pochi centimetri dalle portiere, che provvedo a chiudere immediatamente. Che si sia sparsa la voce??
Purtroppo il tre ruote non arriva alla plaza de Armas, ma percorre la stradina sinuosa come un serpente e lastricata che ho fatto ieri. Mi molla sulla Panamericana.
Fermo il primo taxi che passa e salgo. La macchina cade letteralmente a pezzi, ma per lo meno mi porta in centro. Lungo la strada, cambio piano: non mi va assolutamente di fare le corse e partire adesso. Resto un’altra notte a Trujillo, in quello che resta della giornata mangio con calma, riprendo la moto, vado a visitare Chan Chan e domani parto presto (sì, come no!) e vado a visitare Lambayeque e un altro museo nei pressi.
Seguo il piano e faccio una lunga passeggiata nella strada pedonale di Trujillo, piena di edifici coloniali restaurati.
Mi affaccio anche in quello che sulle prima mi sembra un albergo di lusso, ma il portiere a guardia dell’edificio mi dice che è un club, vietandomi l’ingresso. Mi concedo un piacere che amo, farmi lucidare la scarpe 🙂
(mh, interessante … !)
Chiedo informazioni su dove mangiare un seviche coi fiocchi e mi indicano un ristorante per fortuna molto vicino. Il seviche è come una insalata di mare, che può essere solo di un tipo (solo frutti di mare, solo granchio, ecc) oppure un misto. L’avevo mangiato a Lagunillas, ma parlando l’altro giorno con la signora e le figlie, mi avevano chiesto:
“Piccante eh?”
“Veramente non era piccante …”
“Allora era un finto seviche!! Ora che vai a Trujillo, lì lo troverai buono, è la loro specialità!”
Ed effettivamente questo è piccante! Sarà il sughetto che è piccante, ma soprattutto è un tizzone ardente quello che sembra un innocuo peperone: è la cosa più piccante che abbia mai mangiato in vita mia! Tutto quello che entra a contatto con il malefico poparuolo, va in fiamme e non smette di bruciare! Le labbra, la lingua bruciano fino alle lacrime e l’effetto dura dai 5 ai 10 minuti in cui non c’è nulla che si possa fare per placare il dolore. Comunque il seviche è ottimo e freschissimo e lo accompagno con l’amata chicha morada.
(il mostro piccantissimo è quello in cima a tutto, a forma di ruota)
Finisco la passeggiata, torno in albergo per prendere il casco e vado a recuperare la moto.
Giro di prova, sembra che Mastro Lenin abbia fatto un ottimo lavoro, il tutto per 30 soles, 8 euro.
Arrivo a Chan Chan che sono quasi le 16. Mi infilo dietro a un gruppo e visito a sbafo il museo, questo con ancora meno manufatti (ma sempre molto interessanti) rispetto alle Huacas, ma con più rappresentazioni in dimensione reale, di scene di vita dell’epoca: come mangiavano, dove vivevano, i sacerdoti, i lavori manuali, ecc tutti ambientazioni ben fatte e realistiche.
Usciamo, io sempre in coda a questo gruppo, cercando di non farmi notare, poi vedo che salgono in pulmino al grido di “tutti a Chan Chan!!”
Ma come, non siamo a Chan Chan??
Chiedo ad un guardiano dov’è Chan Chan e mi dice che è a meno di un km e che devo sbrigarmi, perché tra meno di 10 minuti il sito chiude!
Inforco la Pollita, mi accodo al pulmino che torna sulla strada principale e poi entra in un sentiero sterrato chiuso da una sbarra, che ci viene aperta da un custode.
Il sentiero si snoda tra i resti della città di Chan Chan, per arrivare sotto alla fortezza meglio conservata e più grande di tutte. E’ l’unica che si può visitare.
Anche qui, faccio “il sorcio” e mi accodo al gruppo, schivando la biglietteria. Una volta all’interno, scivolo tra un gruppo e l’altro, cercando di non farmi notare troppo.
La città è estremamente affascinante, ricca com’è di decorazioni in adobe e argilla; le abitazioni sono articolate, somiglianti più a labirinti che a luoghi dove si dorme e si mangia. Purtroppo perdo quasi tutte le guide e non so la funzione dei diversi ambienti, ma mi lascio affascinare dalle decorazioni, sempre diverse tra un ambiente e l’altro. E poi questi labirinti …
Sento un italiano (uno dei pochissimi incontrati sino ad oggi) poco distante che declama:
“Ecco, qui si capisce che è un magazzino, quella la sala di un tempio, ma questi corridoi chiusi … non hanno senso!”
Gioisco della “follia” e della incomprensibilità di questi uomini che hanno creato queste strutture magnifiche così riccamente decorate, che migliaia di anni dopo vengono definite “senza senso” da un occidentale razionale. Perchè deve avere per forza un senso? Perchè non farsi affascinare dal mistero e dalla bellezza geometrica di queste decorazioni, senza dover classificare e inquadrare ogni cosa?
Mi aggiro nella miriade di ambienti, poi per uscire mi accodo nuovamente a un gruppo. L’ho scampata, niente biglietto! Non mi sento troppo in colpa, ne ho pagati tanti, per una volta me lo risparmio.
Tornando verso il centro, mi torna in mente il mare: da dentro la città di Chan Chan lo sentivo in lontananza, sono curioso di vederlo.
Vedo un sentiero sterrato che va verso il mare, fermo un vecchietto e gli chiedo:
“Questo cammino porta al mare?”
“Sì, lo segui e arriva al mare”
“E cosa c’è? Un porto, un molo …”
“Nulla … c’è il mare!”
Ok, mi addentro e passo accanto ad altre strutture in adobe, apparentemente antiche, ma completamente circondate da campi coltivati e dalle poche baracche di quelli che vivono lì. Supero un blocco di tre cani, che per fortuna si gettano contro un altro che sta arrivando in moto e proseguo verso il mare, tra canne e vegetazione sempre più fitta.
Ad un certo punto, il sentiero si apre e vedo che il mare è ancora molto distante. Mi scoraggio, inizia anche a scendere il sole, decido di tornare indietro.
Stavolta l’agguato dei cani è preparato alla perfezione: mi vedono arrivare da lontano, ma non ho possibilità di scampo, l’unica è passargli davanti su questo stretto viottolo. Uno salta fuori dal fossato a fianco del sentiero, due mi corrono a fianco, a pochi centimetri. Per fortuna riesco a non cadere, pur guidando su pietre sul fondo sabbioso, però per sicurezza alzo le gambe. Mi hanno veramente stancato questi cani randagi.
Torno verso la plaza de Armas, non prima di essermi fatto un bel succo di canna da zucchero lungo la strada, buono! Dolce il giusto e molto naturale.
Sotto l’albergo mi prendo un po’ cura della Pollita, oggi è il suo giorno: rabbocco l’olio (credo che con questa sia la seconda, massimo la terza volta che lo faccio in vent’anni di viaggi in moto! Devo proprio volerle bene alla Pollita!) e ingrasso la catena.
Ceno, sistemo i bagagli e mi preparo per domani.
Sono molto curioso del museo del Signore di Sipàn a Labayeque, pare che sia straordinario!
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