Oggi dobbiamo assolutamente salire sulla collina del Cristo Redentore. Né Caterina né io ancora siamo riusciti ad andarci ed oggi è l’ultimo giorno a Rio, non ci sono altre possibilità.
Il tempo è buono, senz’altro migliore di ieri.
“Abbiamo fatto bene a non andarci ieri, vero? Era molto più coperto!”, esclamo esultando verso Caterina.
Camminiamo fino alla metro, veloce e molto frequente, poi prendiamo un autobus fino alla stazione da dove parte il trenino che porta fin sotto la statua.
Gli autobus sono un’esperienza per persone forti. Forti nel senso fisico, muscolare del termine. Infatti la guida degli autisti è molto aggressiva: accelerate brusche e frenate violente. Oltre alle tante buche dentro le quali gli autisti non si preoccupano di precipitare, agli avvallamenti e alle altre irregolarità delle strade. Semafori rossi presi senza problemi e varie altre scorrettezze stradali, completano il quadro di quella che, per i passeggeri, si trasforma in una intensa sessione di palestra.
Fortuna che ci pensano i passeggeri a rendere tutto più lieve: la cortesia è la regola, così come, da parte delle persone sedute, la gentilezza nel tenere la borsa o altri pacchi pesanti a quelle in piedi. Non lo fanno solo con noi, essendo turisti (e già questo comunque stupirebbe), ma normalmente tra loro. Il che è anche logico: oggi lo faccio a te, domani lo fai a me.
Arriviamo alla stazione del piccolo treno in vecchio stile. Non c’è fila, ma solo tre giovani impiegate che accolgono i turisti che arrivano alla chetichella.
“Oggi la visibilità è pessima, è inutile che saliate!”, la doccia fredda che ci rifila la ragazza più vicina a noi.
“Ma nulla nulla?? Qui c’è il sole …”, provo a ribattere.
“Nulla, guardi il monitor, lì può vedere la situazione in tempo reale!”
Il grigio cupo restituito dal video ricorda una serata di nebbia fitta in Val Padana.
“Ma se andiamo sotto la statua, almeno quella la vediamo, no??”, chiedo in un ultimo tentativo.
“No, perché comunque la statua è lontana dal punto in cui arrivate, non si vede nulla, glielo garantisco!”
Caterina è affranta, perché voleva coronare l’idea romantica di salire fino alla statua insieme a me.
“Ok, allora torniamo in centro, magari se vediamo che il cielo si apre, torniamo qui …”, provo a rilanciare ormai scoraggiato.
“E’ previsto nuvoloso per l’intera giornata …”, mi demolisce definitivamente l’impiegata, col tono che in realtà dice: “ma allora non vuoi capire!”
Chiediamo ad una signora del posto cosa c’è nei dintorni, ma pare nulla di interessante. Non ci resta che tornare a valle, in centro. Saliamo nuovamente su un autobus-tagadà e decidiamo di andare a Ipanema.
In una mezz’ora inizio a camminare su un altro mito, la spiaggia di Ipanema! Quante volte l’ho sentita nominare, nelle canzoni, nei libri, nei film!
La spiaggia è molto ampia, come sempre qui in Brasile.
Ci sdraiamo e lasciamo correre i pensieri, io in particolare al viaggio ormai alle battute finali, ma su questo voglio scrivere un articolo specifico per non “annegarlo” con altri discorsi.
Il mare è molto mosso e a parte qualche raro surfista, nessuno vi si avventura.
Camminiamo fino in fondo al lungomare, respirando il profumo del mare, salato e balsamico, poi torniamo verso una strada interna per pranzare.
Troviamo una connessione wifi aperta e Caterina inizia a scriversi con Kate, la Custode della Pollita in quel di Recife.
Ha saputo da una amica che di mestiere aiuta a fare i documenti e a sbrigare pratiche burocratiche che nazionalizzare una moto usata è molto difficile, al limite dell’impossibile, per via dei tempi biblici e dei costi molto elevati.
A complicare le cose c’è il fatto che il Cile non è membro ufficiale del Mercosur, l’associazione economico-commerciale del Sud America, ma è solo un paese associato. Mi sfugge la differenza, ma in termini pratici c’è la conseguenza che le tasse di importazione sono molto elevate.
Non è dato sapere quanto e questa indeterminatezza mi innervosisce molto, si parla di tasse pari al valore della moto. Da nuova? Da usata? Valore cileno o brasiliano? Che percentuale esattamente? Non si sa.
Decido comunque di andare da un notaio per fare una procura al marito di Kate, interessato all’acquisto legale, cioè nazionalizzando la moto. Finiamo di mangiare ed andiamo in un “cartorio”, dove ricevo la mazzata finale:
“Se la procura è per vendere la moto, costa 400 reais, se invece è solo per autorizzare una persona ad effettuare dei documenti, come quelli per nazionalizzare la moto, allora sono 200 reais”
Per noi va bene il secondo tipo di procura, ma spendere l’equivalente di 70 euro per un’operazione tanto incerta e nebulosa è fuori discussione.
Sono quasi sollevato nel ritrovarmi di fatto obbligato a scartare una possibilità. Ora rimane solo la vendita in nero, senza documenti. Se si riesce. Altrimenti, la soluzione peggiore di tutte, per togliere il fastidio a Kate: lasciare la moto da qualche parte a Recife per farla rubare. Ma spero di non arrivare a tanto.
In ogni caso, sono contento di aver comprato una moto così economica perché, come temevo fin dall’inizio, nel caso peggiore minimizzerò le perdite.
Passeggiamo nelle vie commerciali di Ipanema a caccia di regali per parenti e amici, ma non troviamo nulla e il poco che vediamo non ci convince. Ci aspetta una ben magra figura al nostro rientro a Roma!!
Arriviamo davanti alle vetrine di Amsterdam Sauer, un gioielliere francese famoso per i suoi lavori con le pietre preziose. Ci lasciamo accalappiare da uno dei venditori che passeggia sul marciapiede, pronto ad accogliere le persone che si fermano ad ammirare le splendide e brillanti vetrine.
“Se volete all’interno c’è un piccolo museo di pietre, è molto interessante e una ragazza vi spiegherà la provenienza, la lavorazione e il valore delle pietre!”
Ci lasciamo tentare e ne siamo subito felici per la grande bellezza delle pietre che ammiriamo all’interno. E’ incredibile come anche le pietre, spesso ritenute “fredde”, trasmettano energia.
E’ tardi e vedo avvicinarsi il fallimento della ricerca dei regali. Dovrò dare spiegazioni convincenti di come in tre mesi non sia riuscito a trovare nulla da riportare a casa!
Alle 17:30 saliamo su un autobus per andare a recuperare lo zaino che da Sao Luis, ormai tre settimane fa, avevamo spedito alla nostra amica Anouk. Il traffico allucinante ci fagocita e veniamo espulsi dall’autobus esattamente due ore dopo. E tutti i giorni è così! Pessima qualità della vita per chi deve passare quattro ore al giorno in auto …
Ceniamo con lei che, tra le tante cose che ci raccontiamo, mi confida, con mio grande stupore, che tutto il suo ufficio ha seguito praticamente passo passo il mio blog. Ne sono onorato e orgoglioso, visto che non conosco nessuno di loro 🙂
Quando usciamo dal ristorante è notte e decidiamo di prendere un taxi. Al volante un nero enorme che riempie l’intero posto di guida, la testa quasi piegata da quant’è vicina al tettuccio. Guida spericolato, veloce e tagliando la strada, senza tenere alcuna distanza di sicurezza. Proviamo a dirgli qualcosa, ma non ci risponde nemmeno.
Mentre siamo ancora sulle complanari e svincoli in periferia, passiamo a fianco di un incidente accaduto da pochissimo. Sono coinvolte tre auto, sicuramente un tamponamento e un’auto si è ribaltata sul guardrail. Speriamo di arrivare sani e salvi!
Arriviamo in centro ed andiamo a sederci in un bar, ascoltando la musica sparata da un gruppo che suona in un locale vicino. Siamo stanchissimi e rinunciamo ad entrare nel locale dove suonano, andiamo a letto.
Sentiamo che, a parte Ipanema e Anouk, abbiamo perso inutilmente la giornata e, per essere l’ultimo giorno a Rio, non è affatto una bella sensazione!
Domani avrò solo la mattinata libera, poi via verso l’aeroporto, si torna in Italia! Purtroppo.
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