Oggi dovrei rientrare in Cile, in sella alla Pollita.
Un anno fa, quando sono uscito dalla Bolivia, non l’avrei mai detto che sarei tornato con lei qui.
Ho sempre pensato che, nella migliore delle ipotesi, l’avrei venduta in nero da qualche parte lungo la strada.
OI, nelle ipotesi più realistiche, che l’avrei abbandonata da qualche parte, per liberarmi da quello che poteva diventare un problema burocratico insormontabile.
Oppure, nello scenario più negativo, ma assolutamente probabile, distrutta in un qualche incidente drammatico come ne ho visti tanti in Sud America, con me più o meno malconcio in qualche lurido sanatorio.
Senza ombra di dubbio, la possibilità di tornare in Cile con la Pollita era la meno probabile.
E invece…
Sono un po’ preoccupato, perché essendo la moto cilena, mi aspetto qui i controlli più stringenti.
E anche perché i documenti che ho, sono un mix di dati miei e di Nicola.
Il libretto e la moto sono a mio nome. L’assicurazione e il permesso di circolazione sono a nome di Nicola.
Ci sono tutti gli ingredienti per fare la felicità di qualche zelante funzionario doganale.
Esco da San Juan abbastanza presto, dopo un paio d’ore raggiungo Mendoza, frenato da un vento in direzione ostinata e contraria, come canterebbe De André.
Dopo Mendoza, la strada diventa un lungo rettifilo che taglia in due il deserto.

Altra strada, poi vedo tutti fermi, bloccati. Non mi faccio scrupoli e inizio a passare km di fila, tra auto e autotreni fermi.
Dopo una decina di minuti arrivo all’origine del blocco: controllo sanitario!
Mi affaccio alla sbarra chiusa, cercando lo sguardo di uno degli agenti che sta facendo i controlli.
Finalmente uno mi vede e, come speravo, mi fa un cenno a dire che posso proseguire.
Punto dritto alle Ande, altissime, che dividono Argentina e Cile.
Ovviamente, non poteva essere altrimenti, una densa massa nuvolosa, grigio pesante e grondante pioggia, sovrasta le montagne che devo superare.

Memore dell’esperienza di un paio di giorni fa, mi fermo e mi metto la cerata sotto il sole.
Meglio sudato che fradicio.
Mi fermo proprio davanti all’ennesimo tempietto costruito a lato della strada.
É dedicato a Gauchito Antonio Gil.
Mi colpisce questa commistione di credenza popolare e cristiana.
L’argentino é quello che non passa davanti ad una chiesa senza farsi il segno della croce.


Ma é anche quello che lascia una sigaretta, un biscotto, un sasso, una bottiglia piena d’acqua in omaggio a queste figure profane.

Inizia la salita, abbastanza dolce, anche se comunque dovrò salire di qualche migliaio di metri.
Fa sempre più freddo, ma per fortuna non piove.


Anche oggi la strada segue un’ampia gola, i picchi attorno a me sono molto alti, imponenti.
Mi sento una formica.



Man mano che salgo la moto perde di potenza. Prima riusciva a spingere la quinta, poi la quarta.
Salgo, la terza é il massimo che riesco a mettere, poi la seconda.
Significa che salgo a 30 km orari. La moto tossiche, sputa, se chiudo il gas si affoga, se lo apro si blocca.
Se scalo marcia va in fuorigiri, se mantengo quella che ho, mi muore sotto le mani.
É tutto uno scalare e salire di marcia, centellinando il gas senza una regola chiara, visto che il problema é la scarsità di ossigeno, punto.
Come sempre, con tanta pazienza e curiosità per il paesaggio, I km passano ed arrivo alla frontiera.
Come quando sono passato dal Brasile all’Argentina, anche stavolta supero degli uffici chiusi e sbarre che una volta erano chiuse, oggi aperte.
Arrivo in cima al passo, imbocco un lungo tunnel. All’uscita un cartello mi dà il benvenuto in Cile.

Bene, ho saltato la frontiera argentina, é evidente.
Faccio inversione e chiedo informazioni ad un ragazzo fermo, da soli, al freddo.
Mi spiega che in uscita dal paese, l’Argentina non fa controlli. É lo stesso per chi va in direzione opposta, il Cile mon controlla chi esce dal paese per entrare in Argentina.
Meglio, ma… perché tutta quella manfrina del doganiere per il foglietto di ingresso, quando sono entrato da Foz de Iguazú??
Ancora qualche km ed arrivo alla frontiera cilena. Ora ci si diverte.
Non é molto chiaro sulle prime, poi capisco che devo fare il giro di quattro sportelli.
Ognuno aggiunge un timbro su un foglio che porto da ciascuno di essi.
Immagino che quando avrò riempito tutte le caselle di timbri, vincerò una pizza o un pieno di benzina.
O semplicemente, l’ingresso nel paese.
Primo sportello, tutto bene, primo timbro messo.
Secondo e terzo, idem.
Quarto, é quello che controlla la moto. Mi chiede il foglietto argentino (“Ah, ma allora controllano!”, dico tra me e me).
Poi inizia a chiedermi quando sono uscito dal Cile con la moto, cerca il timbro sul passaporto. Deve barcamenarsi in 32 pagine completamente piene di timbri, non trova quello che cerca.
La lascio fare, spero che desista, ma non molla.
“Quando sei uscito dal Cile??”, mi chiede mentre continua a sfogliare avanti e indietro.
Sorrido, senza rispondere.
“E da dove sei uscito??”
Sento che non posso continuare a fare il muto, gli dico che sono uscito dalla Bolivia.
“Ah, allora ti serve il formulario, vallo a fare in quello sportello” e mi indica il quinto sportello. Imprevisto.
Qui ricominciano le domande di prima, quando sono uscito e da dove. Prima però va a farmi mettere I timbri dei primi tre sportelli anche su questo foglio.
Quando torno, il tipo ci pensa e mi fa:
“Ma perché ti serve sto formulario??”
“Non so, chiedilo al tuo collega dello sportello 4”.
Si parlano, per un attimo spero, poi si convince anche lui che mi serve il formulario.
Il “da dove” lo soddisfa, la Bolivia, ma sul “quando” continuo a glissare, ma tanto cercano il timbro, non scappo.
Basta, confesso: “Sono uscito verso la Bolivia l’anno scorso”.
“Quando?!?”
“L’anno scorso, ai primi di luglio”, ribadisco e cerco io il timbro. Lo trovo, il 9 luglio ero entrato in Bolivia, direzione Uyuni.
Lo scrive sul formulario, poi me lo dà :
“Dallo a quella persona là “, mi dice indicando una nuova persona, senza sportello. Un battitore libero.
Questo inizia a leggere, vede luglio e conta sei mesi. Non sto lì a dirgli che I mesi sono molti di più, che il luglio é del 2013, non quello scorso.
Poi inevitabilmente se ne accorge. Gli si apre un mezzo sorriso, a dire, poveraccio, mi dispiace ma sei finito in una montagna di guai!!
“Sai che se non riporti la moto entro sei mesi, c’è una multa da pagare??”, mi chiede sempre con questo sorriso a mezza bocca.
“Sennò noi che ci stiamo a fare?”, prosegue, “Tutto quello che esce deve rientrare… E se con la moto te ne andavi a L’Havana??”
“Eh, non so… stavo al mare!”, rispondo senza sapere cosa dire.
“Quindi, sei uscito dal Cile entrando in Bolivia, poi da lì? ”
Ci penso… non so se raccontare tutto il giro, non vorrei infilarmi in altri guai. Ma anche mentire potrebbe cacciarmi in un mucchio di problemi.
Scelgo la menzogna.
“Da lì in Brasile”.
“Ok e poi in Argentina e ora qui, giusto?”
“Ehm sì, esatto!”
“Dovevi rientrare entro 120 giorni”, prosegue. Non gli faccio notare che poco da mi aveva detto 6 mesi, sempre oltre sono e poi non vorrei innervosirlo.
“Ma di quant’è la multa?”, gli chiedo per capire di che stiamo parlando.
“Eh, é sui 30mila pesos!”
Mi faccio I conti, sono circa 40 euro. Mi viene da ridere, 40 euro glieli do’ subito se mi da andare via.
Glielo dico in maniera gentile, che pago quando vuole, non ci sono problemi.
“Qui non la puoi pagare, la devi pagare domani a Los Andes!”
É a 60 km da qui e a 100 da Santiago. Sballa tutti i piani.
Mi ricorda quando nel 2001 mi arrestarono in Kazakistan perché mi era scaduto il visto.
Processato per direttissima, mi fu risparmiata la salatissima multa per immigrazione clandestina (un italiano immigrato clandestino in Kazakistan… anche questo può accadere!), però dovevo fare immediatamente il nuovo visto.
A Kyzylorda, però, 600 km più a sud. Lì no, non potevo. É così dovetti partire seduta stante, finendo per viaggiare tutta la notte, arrivando all’alba.
“Qui non si può pagare??”
“No, qui no… però fammi pensare… puoi aspettare un po’ di tempo?”, mi chiede con un sorriso diverso, che fa pensare a una grande idea che gli é venuta.
Guardo l’orologio, é ancora abbastanza presto.
“Sì, certo”
“Bene, allora sento se può salire qualcuno da Los Andes per farti la multa”.
Il tempo passa: mezz’ora, un’ora, un’ora e mezza. Sono seduto su una panca dentro gli uffici.
Cerco di avvisare Monica, un’amica che mi aspetta a Santiago, ma il cellulare non funziona e non c’è nessun wifi aperto.
Fuori il freddo é intenso, da alta montagna. Dentro, poco meno intenso.
Vado a prendere il pile dalla moto. Quando rientro, incrocio il tipo di prima che,con gli occhi felici, mi dice che é stata una fortuna che la moto fosse cilena, altrimenti me l’avrebbero sequestrata direttamente, senza possibilità di appello.
Poi mi spara uno spiegone su quello che é successo che non capisco, penso solo a quando finirà tutto questo.
Dopo settimane, sento di nuovo il dolore dietro al collo del Fuoco di Sant’Antonio. Spero che non sia davvero quello.
Quando sembra che ci sono, che la multa é pronta da pagare, un’altra tipa, l’ennesima, mi dice che devo aspettare.
Passano due ore, continuano a ripetermi “espera un poquito”, aspetta un attimo.
Sta per tramontare. Faceva freddo col sole, ora si gela nonostante siamo a soli 2800 metri.
Finalmente pare che ci siamo. La multa é pronta, manco fosse la Cappella Sistina!
“Questa cancella tutto quello che c’è pendente?”, gli chiedo.
“Sì, tranquillo”.
“Perché adesso voglio vendere la moto”, gli spiego.
“Nessun problema, é tutto a posto”.
Ringrazio, pago, saluto ed esco. Sono le 20:30, pazzesco.
Sto per mettermi in sella, quando per scrupolo chiedo a un doganiere nel parcheggio se ho fatto tutto. Gli mostro il formulario e la multa.
“E il foglio?”, mi chiede.
“Quale foglio?!?”, chiedo a mia volta, un tantino esasperato.
“Quello coi timbri degli sportelli 1, 2, 3 e 4!”
Nel delirio del formulario, s’è perso chissà dove.
Torno dentro, si scopre che mancano anche altri timbri.
Fuori, manca ancora il controllo dei bagagli. Un doganiere mi chiede di aprire una valigia laterale.
Impreco mentalmente, apro.
“Cosa c’è dentro?”, chiede indicando le buste.
“Vestiti”.
“E qui?”, rilancia indicando i pacchetti dei piccoli quadri che ho comprato settimane fa a Salvador de Bahia
“Quadri comprati in Brasile”
“Aprili”.
Inizio a innervosirmi, é tardi, sono stanco, fa un freddo gelido e sono ancora ad almeno due ore da Santiago.
Ironia della sorte, sono chiusi molto bene.
Mi passa un coltellino. Ho paura di rovinarli e inizio a rispondere male:
“Vuoi vedere che disegno c’è??”, mentre traffico col coltellino. Penso, é chiaro che sono quadri, cosa vuoi che siano??
Nessuna reazione, aspetta che li apro. Proseguo, ma ogni strato che lacero, ne rivela un altro sotto. Non ricordavo fossero chiusi così bene.
“Vuoi vedere se il disegno ti piace??”, chiedo di nuovo guardandolo negli occhi.
So che ho solo da perdere, ma sono esausto ed esaurito.
Sí sta innervosendo anche lui, ma per fortuna non reagisce.
“Va bene, lascia così” e si gira a chiamare il collega col cane antidroga.
Quello da una bella sniffata a tutto e se ne va. Meno male.
“Puoi andare, chiudi”.
Sono le 21, pazzesco, più di tre ore in frontiera!
Il buio ormai é completo, é rimasto solo un po’ di arancio, memoria del crepuscolo che si intravede tra le cime, in fondo alla valle.
La strada dal lato cileno é un ripido groviglio di tornanti che si susseguono a pochi metri l’uno dall’altro, suggestivo.

Mentre scendo, guardo il cielo: pieno di stelle! Mi accorgo che sono giorni e giorni che non le vedo.
La strada per Santiago é ancora lunga. Mi fermo in un autogrill per mangiare un boccone.
Quando rientro, mi accorgo di aver ripreso l’autostrada in direzione opposta, sto tornando verso l’Argentina!
Infatti l’area di sosta é al centro tra le due corsie e non ci sono cartelli che avvisano la direzione che si sta per prendere.
E così, sono entrato da una parte e sono uscito dall’altra.
Altri 30 km a vuoto.
Arrivo nel bed and breakfast che mezzanotte é passata da poco.
Mi scuso con Monica, dandomi appuntamento per la mattina dopo, poi mi tuffo esausto nel letto.
Domani, ultima tappa fino a Concepción!