L’amaca è una tortura.
Senza ombra di dubbio è stata inventata da un sadico per attirare le persone con l’apparente comodità, per poi finirle lentamente tra terribili crampi e orrendi dolori articolari, bloccandole nelle posizioni più assurde e innaturali, col perenne rischio di precipitare a terra nel cuore della notte.
Mi sveglio innumerevoli volte con arti addormentati e doloranti. Arriva l’alba con la sensazione di non aver dormito affatto.
La nottata, comunque, è stata utile. Utile per capire che quattro notti sull’amaca, sul traghetto da Manaus a Belem, potrebbero uccidermi o procurarmi seri problemi deambulatori. La prima telefonata da fare non appena torniamo al lodge è a Tom, per chiedergli assolutamente di prenotare una cabina.
Decido di averne abbastanza pochi minuti prima delle 6 e mi districo dall’amaca. La guida sta accendendo nuovamente il fuoco, mentre anche la foresta si risveglia tra grida di animali e canti di uccelli.
La colazione include un po’ di caffè ed un panino con la frittata. Quando tornerò in Italia credo che non mangerò uova per un bel po’.
Dopo aver smontato e ripulito l’accampamento, le due brasiliane e Richard seguono la guida per andare direttamente sulla spiaggia.
Il resto della truppa, invece, segue o sarebbe meglio dire, insegue il ragazzo. Che, per l’appunto, adotta un vivace passo da vietkong in missione, obbligandoci ad una marcia forzata nella foresta dove l’unica cosa che riesco a vedere sono i miei piedi per cercare di non inciampare. E non sempre ci riesco.
Avvistamenti, zero. A parte le formiche, che mi ritrovo ovunque a mordermi con foga.
Proviamo a dirgli un paio di volte di rallentare, ma non capisce o non vuole capire. Quando provo a fermarmi per scattare una foto, rischio seriamente di perderli e l’esperienza non sarebbe divertente, perché davvero non avrei idea di dove andare, in quale direzione.


( Formicaio)

Sudo nuovamente come una fontana quando finalmente, dopo una quarantina di minuti di questa salutare sgambata degna di Full Metal Jacket (soldato Palla di Lardo!), il ragazzino si ferma chiedendoci se vogliamo proseguire verso l’interno – e indica una poderosa e maschia collina che si innalza vigorosa alla nostra sinistra – oppure tornare mollemente e vigliaccamente sulla spiaggia – e indica con disgusto una blanda discesa verso destra.
La risposta è unanime e scontata. Anche il soldato Palla di Lardo sarebbe stato d’accordo con noi.
Non appena arrivo sulla spiaggia, madido di sudore, mi getto nel fiume, poi prendo un po’ di sole.
Le due brasiliane ingollano birra, come al solito.
Le quattro francesi si isolano, come al solito. Sono incredibilmente asociali e chiuse. E’ vero che spesso, quando si viaggia tra amici, si tende a restare all’interno del gruppo, ma queste esagerano davvero. Da ieri avranno scambiato non più di dieci parole con le altre persone.
Fortuna che ci sono Manuel, Carlos, Joel e Crazy Richard, come ho prontamente soprannominato il tipo di Washington, altrimenti avrei passato tre giorni in isolamento.
Chi gioca a pallone, chi chiacchiera, chi si riposa, poi la guida annuncia la fine della siesta. Si torna verso il lodge!

Vado a salutare le signore amiche della nostra guida e vedo che c’è anche una ragazza con il viso dipinto. E’ una indio. Anche la figlia è decorata con delle linee sul corpo.
Non capisco se è una attrattiva per i turisti. Quando le chiedo se posso scattarle una foto, mi risponde “certo!” e non mi chiede soldi. E’ autentica!
Le rivolgo qualche domanda in spagnolo e fortunatamente lo capisce perfettamente. E’ colombiana e viene dalla zona del parco Tayrona! Incredibile, com’è piccolo il Sud America 😉
La guida ci spiega che, prima di andare al lodge, proviamo a passare nella zona dei delfini rosa per avvistarli e, chi ha pagato la licenza, per nuotarci assieme e toccarli.
Il fiume oggi è una tavola. La velocità della barchetta non cambia, sempre lentissima, ma almeno non rischiamo di capovolgerci da un momento all’altro.

( Il profilo di Manaus e del ponte sul Rio Negro a circa 40 km di distanza)
Dopo una mezz’ora arriviamo nella zona dei delfini, che altro non è che la casa galleggiante di una famiglia che ha messo in piedi il business. Non sono pescatori, o almeno non in questo periodo, essendo completamente dedicati ai delfini.
Scopro anche che la “licenza” per nuotare coi delfini, altro non è che il prezzo da pagare alla famiglia per poter usare l’accesso all’acqua dal pontile e, se si è fortunati, a toccare i delfini che vengono a mangiare.
Due ragazzi della famiglia iniziano a smuovere l’acqua e fare rumori, usando bottiglie vuote, bacinelle e altro che sbattono sull’acqua, ma non arriva nessun delfino, fiume piatto.

Riesco a capire da uno dei ragazzi che i pescatori stamattina hanno esploso una bomba per catturare più pesci ed i delfini sono andati tutti là a mangiare. Annuisco scettico, mentre Joel si lancia in ricordi in cui dopo la guerra si usava fare così in Francia. Anche in Italia si usava, ma farlo oggi sul Rio delle Amazzoni mi lascia perplesso.
La guida decide di tornare al lodge: ora è inutile attendere, ci riproveremo dopo pranzo.
Il pranzo è identico a ieri: pesce fritto, riso in bianco e fagioli.
I due spagnoli e le due brasiliane ci abbandonano, tornano a Manaus.
Faccio telefonare a Tom, gli chiedo di prenotarmi una cabina, non voglio più l’amaca! Mi comunica che il prezzo per la moto è riuscito a farlo abbassare a 150. Evidentemente dopo che gli ho detto che avevo trovato moto e amaca a 260 reais, s’è convinto a farmi un prezzo meno da ladro. Quindi il prezzo della moto è sceso da 450 a 350 a 150, ottimo!
Fortunatamente nel pomeriggio ci guida Joshua. E’ molto simpatico e parla inglese, almeno riusciamo a comunicare!
Torniamo al pontile dei delfini, ma quando siamo ancora lontani, Joshua adocchia una barca piuttosto grande già attraccata:
“C’è altra gente, quindi gli stanno dando da mangiare. Tra loro e la bomba di stamattina, non avranno più fame, non sarà interessante … Se siete d’accordo, domattina presto andiamo dai delfini, che avranno fame e adesso andiamo nella foresta a cercare qualche animale, ok?”
Non possiamo far altro che fidarci e acconsentiamo all’unanimità.
Joshua devia la barca, puntando dritto verso la boscaglia che, quando siamo a pochi metri, lascia intravedere un passaggio.
Abbandoniamo il fiume aperto infilandoci in uno stretto canale delimitato dal fitto della foresta.
Gli alberi affondano nell’acqua, è uno spettacolo incredibile. L’acqua è così calma e piatta da fungere da specchio, riflettendo tutto ciò che vi si affaccia: tronchi, rami, foglie. Crea un effetto magico dove il sopra si confonde col sotto e si viene inghiottiti in un paesaggio fiabesco, perdendo i confini tra sogno e realtà.
Siamo appena entrati nel canale quando sentiamo un boato in lontananza:
“Una bomba … i pescatori hanno tirato un’altra bomba!” esclama Joshua scuotendo la testa desolato.
Il boato era evidente, ma a questo punto a stupirmi non è tanto il fatto che lancino le bombe per pescare, quanto la facilità con cui si procurino l’esplosivo!
Proseguiamo lungo il canale e adesso il silenzio è totale: il motore è spento, noi respiriamo a malapena e la barca scivola sull’acqua spinta dal remo di Joshua che si muove silenzioso. Stiamo tutti col naso per aria a cercare qualche animale, un uccello, un rettile.
Lasciamo anche il canale per infilarci dritti nell’intrico di tronchi. Adesso è tutto un cercare un passaggio tra tronchi caduti e alberi ancora vivi, scostando le liane che pendono dall’alto e le fronde che emergono dall’acqua. Ci muoviamo lentissimi, si odono solo i rumori della foresta: qualche grido di uccello, una foglia che cade nell’acqua, un animale lontano, il vento.
Metro dopo metro, raggiungiamo un punto in cui sentiamo dei forti rumori in alto, tra le fronde degli alberi. Udiamo dei versi differenti, sono scimmie!
Ci fermiamo, guardando fissi verso l’alto e finalmente iniziamo a vederli: è un branco di macachi, una decina, si muovono tra un ramo e l’altro. Hanno una coda molto lunga, ma il corpo è piccolo, non credevo così piccolo.



Di tanto in tanto lanciano un grido, due litigano per qualche secondo facendo un baccano d’inferno. Si muovono tra gli alberi finché non li perdiamo di vista.
Joshua decide di cambiare zona. Sempre nel silenzio più totale, torniamo a remi fino al canale, poi da lì al fiume, dove riaccendiamo il motore e, puntando nuovamente sulla riva boscosa, entriamo in un altro canale.

Lo scenario è identico a prima: silenzio totale, acqua immobile in cui si specchia la foresta, noi col naso per aria a cercare qualche animale.

Joshua, abituato da sempre alla foresta, avvista un bradipo abbarbicato in cima ad un albero. Dopo avercelo indicato a lungo, alla fine anche noi riusciamo a distinguerlo.
Si avvicina alla base dell’albero e lega la barca:
“E’ molto in alto, non credo di arrivarci, ma provo a prenderlo per farvelo vedere meglio”
Inizia ad arrampicarsi con una agilità incredibile, ma quando è a una decina di metri di altezza, esclama:
“Fottute vespe!”

C’è un nido di vespe e lo stanno attaccando. Scende veloce, portandosene dietro un paio che continuano a seguirci anche quando, dopo aver slegato la barca, siamo a diversi metri di distanza.
Proseguiamo la nostra ricerca silenziosa, scivolando tra gli alberi e le liane, con la poca luce del sole che filtra tra le foglie, finché non avvista un altro bradipo.
Come prima, lega la barca alla base dell’albero e sale, stavolta però riesce a prenderlo e portarlo giù per farcelo vedere da vicino. E’ una femmina ed ha un piccolo aggrappato al petto. Ci spiega com’è fatta, come vive, le sue abitudini, poi la lasciamo libera e, lentamente come da sua natura, si arrampica allontanandosi.



Poi vediamo ancora un’iguana, o meglio la vedono le ragazze sedute davanti, perchè fugge immediatamente e chi è seduto dietro come me, non fa in tempo a scorgerla.
Il pomeriggio trascorre così, tra i canali che si addentrano nella foresta, sopraffatti da quest’immensità di alberi e acqua mescolati in un abbraccio come un’unica entità. Di tanto in tanto, qualche incredibile macchia di colore che vola impazzita: farfalle di mille colori, giallo brillante, azzurro blu e nero, rosso.

Arriva il tramonto che incendia di colori il cielo e l’acqua. Di nuovo ammutoliamo davanti a tanta bellezza.

Mi stupisce Joshua che, nonostante viva a contatto con la foresta da decenni, gioisce anche lui come noi. Mi consola sapere che ci sono degli spettacoli, come quelli della natura, che non stancano mai.
Si sta spegnendo anche l’ultima luce del crepuscolo, quando vediamo dei delfini che iniziano a saltare e giocare davanti alla barca . C’è anche un piccolo tra loro, si riconosce dalla sagoma minuscola e dalla piccola pinna dorsale che esce dall’acqua.
“Questi sono delfini grigi, molto più difficili da vedere di quelli rosa, siete fortunati!”, ci dice Joshua con soddisfazione.
Ma le emozioni non sono ancora finite!
“Cerco di farvi vedere un caimano, proviamo in un posto che conosco qui vicino. C’è una coppia di caimani che ha avuto da poco un piccolo, cerco di prenderlo”
Ci avviamo nell’oscurità quasi completa. Ogni tanto accende per qualche secondo una torcia, che punta lontano sulle acque per orientarsi tra le cime nere degli alberi sulle sponde, poi la spegne proseguendo la navigazione al buio.
Trova a colpo sicuro l’ennesimo canale ed inizia a puntare la luce nel punto in cui gli alberi entrano nell’acqua:
“I caimani stanno sempre sul filo dell’acqua e li vedi a distanza dagli occhi, che riflettono la luce”.
Non vediamo nulla e Joshua prosegue fino alla riva.
“Siamo su un’isola, scendo a cercare il piccolo. Se lo trovo ve lo porto, altrimenti dobbiamo cambiare posto perchè gli altri caimani che stanno qui li conosco, sono troppo grandi per poterli catturare da solo. Torno tra 20 minuti, non vi preoccupate, chi vuole scendere può farlo, ma deve restare qui sulla spiaggia, oppure restate sulla barca”
L’idea di avere dei caimani che si aggirano nei pressi non è piacevole, però mi stufo di stare sulla barca. Richard ed io siamo gli unici a scendere.
Sfrutto il flash del telefono per cercare degli occhi di caimano nei pressi. Pare tutto sicuro e passeggio brevemente sulla spiaggia. E’ candida e nonostante l’oscurità, si distingue bene nella penombra.
Poco più in là vedo la torcia di Joshua che cerca un caimano da mostrarci. Qualche zanzara cena grazie a me.
Dopo una ventina di minuti torna:
“Nulla, non l’ho trovato e i due adulti che ho visto erano troppo grandi per poterli prendere, erano di un metro e mezzo / due!”
Rabbrividiamo alla sola idea mentre riprendiamo la navigazione.
“Andiamo in un altro posto dove dovremmo trovarne altri”
Di nuovo navighiamo al buio, con Joshua che si orienta puntando la torcia sulla riva, nuovo canale dove entriamo passando tra gli alberi.
Sbuchiamo in un piccolo specchio d’acqua sul quale si affacciano due case, con le luci che si riflettono sulle acque. Stavolta la torcia che punta Joshua sul pelo dell’acqua illumina diversi occhi, grandi come fanali.
“Qui dovremmo trovarne uno piccolo!”, esclama mentre lega la barca ad un tronco.
Stavolta non passa nemmeno un minuto che torna con un cucciolo di pochi centimetri in mano, che prova a morderlo in continuazione:
“Ha quattro mesi al massimo, quindi c’è la mamma nei dintorni! Ve lo faccio vedere rapidamente, poi lo libero”
Ci spiega come respira, come nuota, come caccia, come fa ad aprire la bocca anche sott’acqua, grazie ad una membrana che gli chiude la gola e come mai non attacca sott’acqua, ma solo sul pelo dell’acqua o a terra.

Libera il piccolo che si allontana nuotando e anche noi riprendiamo le acque. Joshua punta di nuovo la torcia sulla riva opposta e quattro begli occhioni luminosi si accendono ad indicare due caimani adulti.
Faccio appena in tempo a pensare alle persone che abitano nelle due case, affacciate su un laghetto così bello, ma infestato di caimani, che attracchiamo proprio sotto le abitazioni. E’ il nostro lodge!!!
“Joshua, non avevo capito che eravamo al lodge, ma quindi siamo circondati da caimani?!?!”
“Sì ma non preoccuparti, di solito restano vicino l’acqua, si allontanano di pochi metri, tre, massimo cinque metri”
“Qui sono meno di cinque metri!”
“Sì ma è sicuro, non preoccuparti, non sono mai saliti fin qui, hanno paura”
Speriamo che abbiano paura anche stanotte …
Cena a base di pollo, riso in bianco e fagioli, alla faccia della varietà!
Il generatore rimane acceso fino alle 21, il tempo di cenare, ricaricare qualche batteria e fare una doccia, poi piombiamo nell’oscurità.
Siamo tutti provati dalla giornata e soprattutto dall’ultima nottata sull’amaca e rapidamente ognuno si dirige nella sua stanzetta. Rovente e soffocante.
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