Questo è il dilemma!
Mi sveglio molto presto e anche stavolta la notte non ha portato consiglio. Ho ancora il pensiero fisso alla vendita: vendo o non vendo?
Scendo a fare colazione ed ho una visione: cammino lungo una strada con uno zaino enorme sulla schiena, una busta altrettanto esagerata in una mano, con dentro la giacca e i pantaloni del completo da moto e nell’altra mano gli stivali.
Troppo scomodo, non vendo, ho deciso.
Sto finendo di mangiare quando mi passano Tom al telefono della reception.
“Allora, mezz’ora e passa un mio amico che ti accompagna al mercato dell’usato, ok? Parla inglese, non preoccuparti”
Gli spiego i miei dubbi, ma non hanno molto effetto, anzi, mi ci fa ripensare:
“Scusa, vai e almeno vedi come funziona, ti fai un’idea del prezzo che puoi chiedere, poi se qualcuno ti convince gliela vendi!”
E’ ragionevole, ma insisto:
“Non so … ma se invece vado a fare un giro nella foresta? Quella gita di un giorno che mi dicevi, coi delfini, il villaggio …”
“Parte oggi però! Domani non c’è e nemmeno lunedì credo”
“Non ne avresti uno di due giorni?”
Pausa di riflessione …”E perché non tre?? Dormi una notte nella foresta, nell’amaca e l’altra nel lodge. Poi hai tutto il resto: gli animali, il villaggio, nuoti nel fiume, è molto interessante, vedrai!”
“E con la moto?”
“La vendi dopo, tanto avevi già cambiato idea! Parti oggi, torni martedì e mercoledì prendi la nave per Belem”
“Sì, ma il prezzo”
“450 reais per i tre giorni, tutto incluso: pasti, bevande, notti, ecc!”
Sono poco meno di 50 euro al giorno, ma non mi va di contrattare al telefono: “Ok, andata!”
“Bene, tra un’ora passo a prenderti!”
Riattacco e mi viene da ridere per la mia solita volubilità e imprevedibilità.
E così la Pollita resta ancora con me! Sono felice e poi Caterina deve conoscerla! Anche se ci saranno sicuramente dei problemi, perchè è piccola e poco potente. Però adesso preferisco andare per tre giorni nella foresta, alla moto penserò dopo!
Passo nella pensione per avvisare un po’ di persone della gita nella foresta, dove sicuramente non potrò comunicare con nessuno. Pago anche il ragazzo della reception che ieri sera ha lavato la moto per presentarla al meglio al mercato dell’usato, dove non andrò!
Non passano nemmeno 10 minuti che arriva una persona chiedendo di me.
“Ciao, forse Tom non ti ha avvisato, non vado più al mercato dell’usato!”, gli comunico distrattamente mentre continuo a leggere le mail.
“Che mercato … non devi fare l’escursione nella giungla?”
“Sì ma … Tom mi ha detto tra un’ora!”
“Un’ora?! Veramente ci aspettano già 4 persone sul fiume e un’altra è qui fuori in macchina!”
“Ah! Ok, dammi 5 minuti!”
“Va bene, ma sbrigati”
Torno in albergo, butto nello zaino quello che potrebbe servirmi nei tre giorni e corro nuovamente alla pensione.
In macchina conosco l’altro turista, è un signore francese che sta finendo la sua esperienza di un anno in Amazzonia in cui ha provato ad avviare un progetto culturale. Gli chiedo per tre volte di che progetto culturale si tratta, ma non mi risponde, piuttosto se la prende con la mentaliltà e il modo di fare dei brasiliani:
“Il futuro non è qui, te lo assicuro … Hanno la testa sbagliata, non può funzionare! Pensano solo all’oggi, per loro il domani non esiste. Non riescono a pianificare, poi non hanno precisione, né rispetto”
E’ molto amareggiato e deluso per il fallimento del suo progetto, “ma ho insistito fin troppo”, aggiunge, “adesso dopo un anno alzo bandiera bianca. Faccio la gita nella foresta, poi ho l’aereo per New York, vado a trovare mia figlia che vive là e poi torno in Francia, definitivamente”
La parola “definitivamente” mi mette a disagio, perché non esiste nulla di definitivo, per cui mi viene istintivo aggiungere:
“Definitivamente … fino al prossimo progetto!”
Scoppia in una risata e concorda, “sì esatto, fino alla prossima avventura!”
Con l’auto usciamo dalla città e andiamo verso un punto da cui parte una barca che ci porterà nel lodge nella foresta.
Attraversiamo il ponte sul Rio Negro, spettacolare e immenso, il fiume e, di conseguenza, il ponte.
I fiumi di questa parte di mondo hanno delle dimensioni difficilmente immaginabili per gli europei, dove tutto è piccolo e raccolto. Anche i fiumi russi, il Volga ad esempio, per quanto immenso, non aveva le dimensioni incredibili di questo che, unendosi ad altri fiumi, dà vita al Rio delle Amazzoni, ancora più imponente e lo diventerà sempre più nel suo lunghissimo tragitto verso l’Atlantico.
“C’è molto traffico!”, osservo alla persona che ci sta accompagnando.
“E’ domenica … la gente nel week end va fuori Manaus, anche se essendo in mezzo alla foresta le alternative sono poche. Prendere un traghetto costa, per cui quasi tutti vengono da queste parti, attraversano il ponte perchè gli piace, vanno a mangiare lungo il fiume e poi tornano in città”
Effettivamente non deve essere facile vivere in un posto del genere. Oltre ad essere distante da tutto (altre città, altre nazioni) è anche isolato da una foresta sterminata. Mi prende quasi un senso di claustrofobia.
Lasciamo la strada asfaltata per l’ultimo tratto su una pista piuttosto accidentata.
Arriviamo sul fiume dove troviamo una piccola barca di legno con 4 ragazze francesi, 2 ragazzi spagnoli e 1 signore americano. Ci guardano tutti in modo significativo: siamo in forte ritardo, è chiaro!
Prendo un primo contatto con il fiume e la sua vastità quando la barchetta esce dal piccolo ramo in cui è venuta a raccoglierci e si immette in un braccio più grande. Il fiume è così ampio, che non si riesce a capire se la costa che si ha davanti è la riva del fiume, oppure una delle tante isole che si attraversano passando in mezzo alle mangrovie.
E’ un vero labirinto dove solo i locali riescono ad orientarsi.
Dopo mezz’ora di navigazione arriviamo al lodge.
La parole “lodge” mi fa pensare ad una residenza di lusso, elegante, ricercata. Questo invece è piuttosto spartano: una costruzione principale con una parte centrale che funge da bar, con bagni e i tavoli attorno e una parte distaccata con delle stanze minuscole e soffocanti, per via del caldo e dell’umidità, con 3 o 4 letti. Nessun altro mobile all’interno, né ventilatore. Due bagni in comune.
Il lodge ha due affacci sul fiume: uno sul retro, su un piccolo specchio d’acqua racchiuso dalle mangrovie e che comunica con il fiume attraverso uno stretto passaggio in mezzo alle piante.
E uno di fronte, sul fiume “aperto”.
Dal lato “aperto” si può fare il bagno. A patto di non lasciarsi impressionare dalle acque completamente nere, da qui il nome di Rio Negro, Fiume Nero e dalle piante che emergono parzialmente dalle acque, lasciando intendere che sotto si possono incontrare rami, foglie e chissà che altro.
Le acque sono così nere, ci spiegano, per via della composizione molto acida, che quindi accelera la decomposizione delle piante, i cui resti tingono di scuro l’acqua. Che infatti, a guardarla attentamente, contiene in sospensione una gran quantità di microscopici resti di foglie, cortecce, fibre.
Decido di non farmi impressionare , unico del gruppo, entro nelle acque. Effettivamente fa impressione, si vede a malapena per dieci centimetri, poi più nulla, il nero. Sgambetto in acqua sperando di non attirare nessun piraña:
“Non preoccuparti, quelli che vivono qui non attaccano l’uomo!”, mi tranquillizza uno del personale, “le acque sono troppo acide per quella specie! Anche le zanzare, ce ne sono pochissime in confronto al Rio delle Amazzoni!”
Per pranzo, pesce riso e fagioli, con un po’ di insalata di cetrioli e pomodoro. Per frutta, anguria.
Prima di avviarci verso la foresta, Joshua, una delle guide, ci chiede chi ha i delfini incluso nel pacchetto. Alzo la mano, ma senza esserne sicuro. Voglio ben sperare, visto il prezzo che ho pagato!
Prende nota e ci dice di prepararci che entro un’ora, chi vuole, parte per la notte nella foresta.
Gironzolo di fronte al fiume quando dopo qualche minuto mi raggiunge Joshua:
“Ho sentito l’agenzia e non hai i delfini inclusi!”
“Come no, ho pagato 450 reais!”
“Appunto, non ci sono i delfini, quelli costano 150 reais in più”
Resto di sasso e vorrei dirne un paio a Tom. Capisco Joel quando dice che i brasiliani sono approssimativi, ma in questo caso mi sembra stiano solo facendo i furbi per spillare più quattrini possibile.
“150 reais sono troppi, non se ne parla! Chiama Tom al telefono e fammici parlare”, dico a Joshua nervosamente.
“Aspetta, 150 è il prezzo dell’agenzia, ma andando direttamente là costa la metà, 75 reais. Si compra la licenza per nuotare coi delfini direttamente dai pescatori, è molto più economico”
Ripenso alla scala dei prezzi che mi hanno dato per i delfini: 75 coi pescatori, 150 con l’agenzia, 180 con Tom e 280 con un’altra agenzia che avevo sentito nei giorni scorsi. Non male come ricarico! Anche se in realtà il prezzo che mi aveva dato Tom e l’altra agenzia era per una gita di un giorno che includeva anche altre cose.
“Ok, va bene, ti pago 75”
“Però non devi parlarne con nessuno, né con gli ospiti né soprattutto con l’agenzia o con Tom. Ti sto solo aiutando, questi 75 reais li dò ai pescatori, per me non tengo nulla, però se viene a saperlo l’agenzia mi chiedono la differenza e devo metterli di tasca mia”
“Non preoccuparti, nessuno saprà dei delfini”, lo tranquillizzo, mentre mi chiedo quale sarà il vero prezzo che darà ai pescatori. E mi chiedo anche come mai ci sono questi pescatori che detengono il business dei delfini rosa, non dovrebbero nuotare liberi nel fiume?
Partiamo per andare sull’isola dove passeremo la notte. Usciamo dal retro del lodge e dopo qualche centinaio di metri entriamo nel fiume aperto.
E’ molto più mosso dell’andata. Tira un vento teso che forma onde alte e irregolari che rimbalzano tra le rive come un’eco, intrecciandosi ed aumentando ulteriormente l’effetto.
Dobbiamo attraversare il fiume da una parte all’altra. Quando siamo nel mezzo, con le due rive annebbiate dalla lontananza, inizio a preoccuparmi. La barca di tanto in tanto imbarca acqua e il ragazzo che la guida è molto preoccupato, continua a dire che le onde sono molto alte, che dovremmo puntare ad una certa spiaggetta, ma che non si azzarda a tagliare il fiume perchè ha paura di rovesciarsi.
A queste confidenze ci agitiamo un po’ tutti e il silenzio cala sul guscio di noce che continua ad essere sballottato in tutte le direzioni. Cerco di calcolare quale riva sia più vicina, il problema è che distano molto entrambe, chilometri! E non credo riuscirei a nuotare tanto a lungo, considerando anche la corrente, Stringo meglio il giubbotto di salvataggio e penso che non sopporto quando qualcun altro ha tra le mani la mia vita, è per questo che voglio sempre guidare e mi piace così tanto.
Procede con una lentezza esasperante, ma nessuno se ne lamenta.
Passo passo e con ancora un po’ d’acqua imbarcata, ci avviciniamo lentissimamente all’altra riva e, finalmente, quando siamo più vicini le acque si calmano un poco, così come i nostri animi.
Dopo un tempo che mi pare infinito, attracchiamo finalmente in una spiaggetta candida.
Ci accoglie una signora, due bambini. Alcuni accettano un caffè, io faccio il bagno con i due spagnoli, Miguel e Carlos e con Joel, il francese.
Siamo in ritardo e la guida ci richiama all’ordine: dobbiamo raggiungere a piedi il punto nella foresta dove faremo l’accampamento poi montare le amache e preparare la cena.
Mi asciugo al volo ed inizia una lunga camminata nella selva sempre più scura, ormai il sole è tramontato e il fitto delle foglie filtra ulteriormente la debole luce del crepuscolo. Impossibile capire dove mi trovo, da dove siamo partiti o dove sia il fiume. La foresta è densa, scavalco tronchi caduto, scosto liane e rami per passare, ognuno cerca la via migliore nel dedalo di tronchi.
La foresta ha un buon profumo, delicatamente dolce.
Dopo una ventina di minuti di camminata, in cui faccio in tempo ad inzuppare di sudore la maglietta, arriviamo in una piccola radura. Ci sono delle strutture di legno, come l’intelaiatura di una tenda canadese.
Stendiamo sopra le intelaiature due teli cerati e sotto, lungo i pali orizzontali, attacchiamo le amache.
Nel frattempo la guida, con il figlio, va a cercare della legna per accendere il fuoco. Lo accendono e mettono a cuocere dei grossi polli, infilati su dei rami tagliati appositamente.
Mentre i polli si cuociono, parlo a lungo con Richard, l’anziano di colore che viaggia da solo. E’ di Washington DC, ma è nato a Chicago, poi ha vissuto in California, in Georgia, nella baia di San Francisco e altre città ancora.
“Sai, devo seguire il lavoro, vado dove lo trovo”
“Mi ha sempre affascinato come voi statunitensi vi muoviate con facilità! Noi italiani e forse molti europei in generale, difficilmente cambiano nazione”
“In realtà c’è moltissima gente che non si muove, che nasce e muore nella stessa comunità, dipende anche dal lavoro che uno fa. Ma è anche gente che non viaggia, quindi probabilmente in viaggio hai incontrato il tipo di persone che si muove, per questo ti sembra che tutti cambino casa così facilmente.”
Proseguiamo a parlare degli Stati Uniti, che mi affascinano sempre di più, uno dei prossimi viaggi voglio dedicarlo a girarne una parte, però sono attratto della piccole comunità rurali, non dalle grandi città o almeno non solo. Faccio il paragone con l’Italia e trovo più interessante viaggiare in qualche entroterra italiano che non nelle grandi città, in genere si trova la gente più autentica, più aperta. E anche le situazioni più divertenti.
“Non sono mai stato negli Stati Uniti, sai?”, gli confesso.
“Ah, devi andare assolutamente a New York! E’ una città incredibile se ami l’arte, la cultura, i divertimenti … e il jazz”, aggiunge dopo una pausa.
“Amo molto il jazz!” ed inizio ad elencare i musicisti che amo di più, da Bill Evans a Thelonius Monk, da Miles Davis a Chet Baker, poi Max Roach, Gil Evans e molti altri.
“I classici anni ’60 e ’70 allora!”
“Sì ma anche più moderni, anche se il free jazz ancora non riesco a digerirlo …”
“Sai che ho conosciuto Max Roach e anche altri musicisti! Max Roach era amico di mio cognato, ci siamo visti diverse volte, anni fa”
Parliamo ancora di jazz e di musica, poi il silenzio cala spontaneo. In tutto il gruppo anche quelli che sono di fronte al fuoco a sorvegliare la cottura dei polli.
L’oscurità è completa tranne il fuoco che lancia qualche scintilla verso l’alto. Il silenzio è rotto dal canto di un’infinità di insetti e uccelli notturni.
“Sembra il suono del mio giardino”, dice come tra sé e sé Richard. Effettivamente non si sente nessun verso strano, a parte qualche grido di uccello diverso dal solito. Penso a casa mia, a Roma dove d’estate si sentono grilli e insetti e uccelli.
“Sì anche a casa mia a Roma sento un suono simile … solo molto meno forte, qui sono a migliaia!”
La guida torna alla casetta sul fiume per prendere delle birre. E’ qualche giorno che alla domanda “vuoi una birra?” non rispondo più con “no grazie, non mi va”, ma con “no grazie, non bevo alcol”.
Non so se sarà davvero una decisione definitiva, ma seguo il mio istinto e proprio non mi va di bere, l’idea non mi attira. Preferisco succhi di frutta o altre bevande non alcoliche.
Alla stessa maniera, cioè nessuna decisione esplicita ma il non avvertirne più il desiderio, ho smesso di fumare alcuni anni fa. Chissà se anche stavolta sarà lo stesso.
Peccato che finora, almeno in questa parte di Brasile, ho incontrato pochissimi venditori di succhi di frutta freschi, solo qualche venditore di agua de coco e in un’occasione spremuta di arance. Nulla in confronto a Perù, Colombia e altre nazioni che ho attraversato nelle scorse settimane, dove si trovano ovunque, non solo in città ma anche nei paesini più piccoli o lungo le strade. Meraviglioso!
Attendiamo il ritorno della guida che dopo una mezz’ora arriva, orientandosi solo con una torcia nella foresta più buia che mai, portando sulle spalle una grossa cassa di polistirolo piena di birre.
Mangiamo nelle foglie di banano piegate a mo’ di piatto: riso in bianco e i polli cotti sul fuoco.
Poi restiamo, chi più chi meno, di fronte al fuoco, alternando i discorsi ai silenzi o meglio, alla voce della foresta.
Pian piano tutti si dirigono alle proprie amache e anch’io, dopo un’oretta, vado a raggomitolarmi nella tela, sperando di riuscire a dormire.
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